«Dobbiamo essere noi a decidere chi entra in Europa, non i trafficanti. Grazie agli accordi con Egitto e Tunisia gli ingressi clandestini sono calati del 60%»: sembra che a parlare sia Giorgia Meloni, invece è Ursula von der Leyen, rivolta alla delegazione dei Conservatori che ha incontrato ieri mattina. Ma sul tema immigrazione la differenza è quasi impercettibile. Il programma della candidata potrebbe quasi averlo scritto la premier italiana, che peraltro oggi sarà in Libia per una di quelle missioni magnificate da Ursula ieri mattina.

L’intesa sarebbe perfetta se per FdI, la componente più forte di Ecr e l’unica a non aver ancora deciso come votare sulla candidatura Ursula domani a Strasburgo, il solo capitolo importante fosse l’immigrazione. Ma per la destra tutta, inclusa quella che fa parte del Ppe, i fronti sono due e sul secondo, quello del Green Deal, la candidata concede solo parole prive di sostanza. Il capodelegazione dei Conservatori Carlo Fidanza chiede «un radicale cambio di passo, il superamento dell’impostazione ideologica della precedente Commissione». Lei risponde vaga che l’approccio sarà «pragmatico», che la transizione ecologica ci sarà però, parola sua, sarà «giusta», che la visione della nuova commissione sarà «tecnologicamente aperta». Zero via zero.

Il ministro e cognato Lollobrigida fa l’impossibile per vedere il bicchiere almeno un terzo pieno. Disserta sulle due fasi della precedente presidenze von der Leyen: «La prima non corrisponde all’interesse delle produzioni ma negli ultimi mesi lo scenario è cambiato, ci sono state tante aperture sull’agricoltura e oggi si parla di pragmatismo». L’importante, prosegue, è «il ruolo dell’Italia nella nuova Commissione». Insomma il solito «commissario di peso» che non mancherà perché uno sgarbo simile all’Italia e a Mattarella in Europa non vuol farlo nessuno ma che non basta affatto a risolvere il problema.

La premier vorrebbe votare per l’amica e alleata quanto e più di Lollobrigida. Probabilmente però non può farlo senza qualche appiglio in più che verrà senza dubbio cercato oggi, forse in una telefonata tra le due presidenti. Se ne parla da giorni ma le suonerie sono sempre rimaste mute. Lo scoglio però sembra inaggirabile. La candidata tiene duro sul Green Deal perché i popolari, partiti con l’idea di aprire a destra, hanno cambiato strategia in corsa e hanno deciso invece di puntare sui Verdi, che tra l’altro portano 50 voti contro i 24 di FdI. I sei voti conservatori dei cèchi e dei fiamminghi, infatti, ci saranno comunque, tutte le altre delegazioni Ecr non hanno mai avuto dubbi sul pollice verso. Ma la scelta di veleggiare verso i Verdi invece che verso Giorgia Meloni non dipende da quei 25 voti in più. È un passaggio politico imposto da Socialisti e Liberali, per i quali la porta chiusa in faccia a ogni destra, inclusa quella neomoderata, era condizione essenziale e che altrimenti non avrebbero garantito, nel segreto dell’urna, il sostegno a una candidata già poco amata.

Per la leader di FdI votare per l’amica in queste condizioni significherebbe accettare il ruolo di parente povera, tollerata a stento nelle cucine ma con salone e salotti preclusi. L’opposto esatto del ruolo di perno dei nuovi equilibri europei che Meloni non solo ha inseguito per oltre un anno ma ha anche incautamente sbandierato in anticipo. L’offensiva della destra trumpiana, quella dei Patrioti, le rende però difficile anche un voto contrario che la sposterebbe sulla stessa linea di Orbán, Le Pen e Salvini ma in posizione subalterna. L’astensione, che all’atto pratico equivale a un voto negativo ma con un po’ di diplomazia in più, servirebbe soprattutto a distinguersi dai duri e a mantenere un canale di comunicazione con la nuova Commissione: un particolare che chi deve governare in una situazione molto difficile come quella dell’Italia non può permettersi di ignorare.

Alla premier italiana restano 24 ore per trovare una via d’uscita prima di dover prendere atto, qualsiasi cosa decida di fare, della sua principale sconfitta politica da quando ha vinto le elezioni del 2022. E di una divisione della sua maggioranza che, pur prevista, è diventata grazie all’ombra di Trump sull’Europa, molto meno facile da gestire.

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