Schlein rompe il tabù: «Basta armi a Israele»
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Gubbio (Perugia). A Gubbio, san Francesco aveva ammansito il lupo mentre il Pd si è lasciato sbranare. Peppe Provenzano, alle otto di mattina, torna a Roma per commemorare Emanuele Macaluso. Lorenzo Guerini non c’era. Andrea Orlando, alle 11, era già a Genova. Il secondo giorno è peggio del primo. Chi può, scappa. Dopo la doccia. Il disastro del seminario, all’hotel “Ai Cappucini”, si compie interamente quando Elly Schlein svela il motivo della sua assenza, il primo giorno: “Non ero presente perché sono andata al cinema a vedere ‘Kripton’, un film bellissimo sul disagio mentale”. E’ una frase di smisurata tenerezza, politica, solo che fuori ci sono droni, le Iene, una carovana di giornalisti che attende di sapere se si candida. Dice pure che l’Europa non deve “vendere armi a Israele per evitare nuovi crimini di guerra”. Scrivere ancora dell’evento è come macchiarsi d’abuso d’ufficio.
Per fortuna erano due giorni. Se ci fosse stato il terzo, televisioni, radio, giornali, avrebbero chiesto a Toni Ricciardi, deputato dem, se nella camera 108 ci fosse lo spazzolino rotante e le pattine di seta. E’ il primo a uscire dall’albergo, quando sono le nove di mattina, e spiega che “ieri sera si è mangiato e bevuto, cantato il solito Guccini e La Canzone Popolare”. Gianni Cuperlo ha giocato a biliardo ma garantisce che c’era qualcuno che barava. Vinicio Peluffo, che ha letto gli articoli del giorno precedente, dava la miglior risposta: “Ma lo sanno tutti che io sono stonato”. Non c’è stato un quotidiano che parlasse bene di questo seminario, uno, e a cosa serve dire, come dirà dopo la segretaria, che “di sicuro, qui nessuno aveva il costume o la pistola e, mi raccomando, quando tornate a casa, lasciate i quadri nella stanza e non fermate i treni”? E’ vero che non c’è nulla di male, anzi, a fare squadra, a divertirsi, ma per farlo, bene, bisogna avere la faccia tosta di Renzi, o la Cinquecento gialla di Anna Ascani, una che quella stagione l’ha vissuta. Bisogna, ancora, andarsi a cercare i voti, con il megafono, per strada, come ha fatto Claudio Mancini, il vero sindaco di Roma, che si merita l’Alfa Stelvio e non la Bmw del 2014. Non serve certo farsi dire, a Gubbio, dall’economista Leonardo Becchetti che il Pd deve rimettere al centro “il tema della felicità” e “stimolare il sogno”. Perfino FdI ha provato compassione per loro. Per una volta, i colleghi deputati, volevano porgere una carezza, e dunque limitarsi a ricordare, ma così, sommessamente, che per venire a Gubbio, giovedì, sono stati chiusi i lavori d’Aula, in anticipo, proprio come era stato fatto ad Atreju, solo che, per Atreju, si era parlato di “democrazia abolita”. Era solo un patto tra gentiluomini, come è accaduto in questo caso. Per spostare l’attenzione da questo conclave, il Pd l’ha stuzzicata due volte. Prima che arrivasse Schlein, l’organizzazione ha inoltrato una locandina per pubblicizzare un evento, al Nazareno, che partiva il giorno stesso, cotto e mangiato, e Schlein è invece salita sul predellino della sua automobile, proprio come Berlusconi, solo che lei anziché il sole in tasca aveva la pioggia nella giacca. Prima di evadere, ancora, la domanda, “segretaria, ma ti candidi?”, si è fermata perché le premeva dire che “Meloni ha superato Berlusconi”. Si riferiva agli attacchi contro la trasmissione Report, alle ubbie di Sangiuliano, che in Rai non sopporta lo sberleffo. Si riferiva a “questi attacchi al diritto di inchiesta nemmeno con l’editto bulgaro… Bisogna inventare altri tipi di editti, non so se editti ungheresi. Sono attacchi non degni di una democrazia”. E ci poteva stare se non fosse che Schlein, pochi minuti prima, in sala, se la fosse presa con i giornali di destra e le “loro elucubrazioni” sulla spa, le cremine, l’irresistibile trattamento “spalmami di cioccolato” (volevano provarlo tutti). Solo dopo aver capito che tenere i giornalisti fuori, al freddo, li avrebbe incattiviti ancora di più, è stato permesso di ascoltare il discorso della segretaria. Era un elenco di “come dice Scotto”. Roberto Speranza ha pure abbozzato un mezzo applauso, ma non l’ha seguito neppure il fotografo trotzkista. Accanto a Schlein stava seduta Linda Laura Sabbadini, l’editorialista di Repubblica, che ha sfoggiato un trolley da meraviglia, “acquistato a New York, cari miei. Candidarmi io? Alle Europee? Ma per carità”. Ecco, o si è sorridenti, sfacciati come Linda Laura, sabbia e mare, oppure si deve essere “dalemiani”, arguti, come Orfini, che ai cronisti dichiarava: “Fosse stato per me, vi spedivo nel paese di fianco”. Schlein era, sul serio, ferita dal voto sul fine vita in Veneto, “un’occasione persa”, solo che, a parti invertite, a Meloni non sarebbe accaduto, anche perché la premier avrebbe strillato al telefono: “Aho! Obbedite!”. Lei non riesce più a parlare a braccio. Ogni volta che interviene si porta il pc come gli ingegneri e tutto per dire che la “destra ha una concezione patriarcale”, che il “lago Ciad si è prosciugato e dipende da noi, dall’occidente” e che la “legge Bossi-Fini è criminogena”. Non si sono svagati, hanno pure pagato. Non c’è dubbio: era meglio andare al cinema.