Pascal Bruckner
Pascal Bruckner, filosofo e polemista, ha sulla rivolta francese uno sguardo crudo e non accomodante. Nel suo ultimo libro pubblicato in Italia (Un colpevole quasi perfetto, editore Guanda) si legge la denuncia di un nuovo bersaglio del razzismo: l’uomo bianco.
Monsieur Bruckner, cos’è cambiato dalla rivolta delle banlieue del 2005?
«Il cambiamento più grande è che la grande maggioranza dell’opinione pubblica è ostile ai manifestanti».
Si vede con la colletta a favore del poliziotto che ha sparato. Perché?
«Le violenze e i saccheggi intollerabili. Dal 2005 lo Stato ha speso miliardi di euro nelle banlieue e si raccontano menzogne colossali. Vengono assaltati persino gli asili nido, le scuole, le mediateche, gli ospedali, i servizi sociali, come se si volessero distruggerete gli aiuti arrivati nei quartieri».
Non è certo la maggioranza della popolazione che assalta e saccheggia. Chi manovra tutto questo?
«Ci sono bande molto organizzate, armate e finanziate da narcotrafficanti che alimentano la narrazione del razzismo e della segregazione per tenere il potere nei quartieri, condominio per condominio».
Chi sono i violenti?
«Vandali, piccoli ladri e i grandi svaligiatori, che hanno assaltato metodicamente i centri commerciali rubando apparecchi elettronici, computer, telefoni, ma anche abiti. Poi ci sono le gang criminali che approfittano della situazione per attaccare commissariati di polizia e municipi. E poi c’è un terzo gruppo: i terroristi ecologici di estrema sinistra alleati con i ragazzi di banlieue che attaccano i simboli del potere, come le caserme dei pompieri o la Gendarmerie».
E questo succede da molti anni nei quartieri.
«La cosa preoccupante è che la Francia è un Paese veramente malato perché tutti i conflitti sociali diventano rivolte. È un Paese che ha da sempre la tradizione della violenza, sotto l’Ancien régime, con la Rivoluzione del 1789, un grande momento storico che si compie con l’invenzione del Terrore. Non scopriamo certo la violenza nel 2023, dalle guerre di religione, alle “dragonate” nel regno di Luigi XV, alla Rivoluzione, al 1870… È un Paese fondato sulla violenza. Oggi però penso che sia dovuto alla mancanza di autorità dello Stato».
Ma come, è un sistema presidenziale con un presidente accusato di autoritarismo.
«Viviamo da cinquant’anni le dimissioni dello Stato. Dopo De Gaulle, tutti i poteri pubblici, di destra e di sinistra hanno distolto lo sguardo dalle banlieue, dall’islam radicale, dall’immigrazione e adesso paghiamo il conto di questo abbandono. Macron ha ereditato una situazione deteriorata da molto tempo».
Quindi il modello francese dell’integrazione è fallito?
«La realtà è più complicata. Adesso si parla solo di banlieue ma c’è tutta una borghesia di origine magrebina o africana che si è affermata molto bene. Ci sono grandi professori di medicina, grandi avvocati, scrittori, imprenditori di successo. Le banlieue sono soprattutto un problema sociale di relegazione. Quindi secondo me non rappresentano uno smacco della politica di integrazione alla francese, semmai ne sottolineano i limiti».
Ma cos’ha fatto Macron per i giovani delle banlieue?
«Una scommessa non assurda e cioè avviare l’integrazione attraverso l’economia promuovendo Uber e piccoli lavori che hanno funzionato. Il problema è che il traffico di droga permette un’ascensione sociale molto più rapida. Le sentinelle o gli spacciatori guadagnano in un giorno come una chauffeur in un mese. Il narcotraffico diffuso sta conquistando i quartieri in tutta l’Europa, Belgio, Olanda…».
C’è un Paese europeo che secondo lei ha saputo affrontare meglio l’immigrazione?
«La Germania è meglio come sempre. E poi ha un modello sociale di concertazione che è la sua forza economica: sindacati molto potenti che discutono e fanno sciopero solo eccezionalmente. In Francia per prima cosa si fa sciopero, si manifesta, si spacca tutto e poi si dialoga. È un modello antico che vive nella nostalgia permanente della Rivoluzione. Negli scioperi contro la riforma delle pensioni i ferrovieri parlavano della battaglia delle ferrovie come se Macron fosse l’esercito tedesco. È totalmente assurdo».
Chi è stato il presidente migliore?
«Chirac perché non ha fatto niente. Era molto popolare, mangiava, stringeva le mani, sorrideva. Macron soffre di un deficit di empatia, è molto distante, è un banchiere che pensa razionalmente, ma le passioni francesi sono totalmente irrazionali. Tuttora i leader della CGT hanno il busto di Lenin sulla scrivania».
Sarkozy è stato eletto nel 2007 con la promessa che avrebbe ripulito le banlieue. Cosa ha fatto?
«Niente, parlava bene ma il suo bilancio è molto negativo, io ho votato per lui e me ne sono pentito. Hollande non ha fatto molto, ha dovuto affrontare il terrorismo, però grazie a lui le prime leggi sul lavoro sono passate. Aveva come ministro Macron che è molto bravo in economia, infatti la Francia va molto bene, il ministro Lemaire è il migliore da molti anni. Ma tutti se ne fregano, è terribile a dirsi, a è così. Nessuno dà credito al presidente, contro di lui e contro lo Stato si manifestano ogni volta i furori francesi».
In questa situazione si avvantaggia molto Marine Le Pen. Lei pensa che possa vincere nel 2027?
«Sì, può vincere, non ha nemmeno bisogno di fare campagna. Sarebbe una soluzione cattiva per la Francia, ha pochissima competenza in economia e in diplomazia e poi è molto vicina a Putin, che in questo momento è imbarazzante. L’estrema sinistra di Mélenchon è insurrezionale, ma. Il grande problema politico francese è l’estrema debolezza della destra repubblicana».
E allora come si fa?
«Non bisogna scoraggiarsi, sul piano economico siamo sulla buona strada. Nell’immediato io penso che il presidente debba fare un discorso molto fermo, condannando i rivoltosi e sostenendo la polizia. Ha sbagliato a sconfessare subito il poliziotto che ha sparato, doveva aspettare almeno la decisione della giustizia. Un presidente deve stare sempre con le sue truppe. Deve riprendere le cose in mano. E tra un anno ci sono le Olimpiadi a Parigi, sarebbe un’onta nazionale fallire quest’appuntamento».
Come dev’essere un presidente forte?
«Rassicurante e capace di unire».