Pnrr, la stoccata di Bonomi ” Riforme, non piste ciclabili Il taglio del cuneo non basta”
claudia luise
«Qualsiasi imprenditore è in grado di riconfigurare il 4-5% del suo conto economico, altrimenti può anche andare a casa. Per questo credo che si possa fare». Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, considera la riforma del cuneo fiscale come «l’inizio di un percorso». Ma non è ancora abbastanza e i rappresentanti degli industriali lo ribadiscono con forza sia durante i festeggiamenti dei 50 anni di Confindustria Piemonte, sia in audizione sulla delega fiscale alla Camera. «La vera sfida sarà la legge di Bilancio su cui misureremo la volontà del governo di intervenire», insiste Bonomi sottolineando quello che Confindustria ritiene debba essere il valore della misura: per avere effetto «bisogna si aggiri sui 16 miliardi». Ma ad anno in corso «è difficile pensare a un intervento strutturale. Prendiamo come un buon auspicio l’avere dedicato quelle poche risorse».
Uno “sconto” fino al 7% alle imprese non basta: «Penso – spiega Bonomi – che Confindustria abbia fatto una proposta di grande responsabilità nazionale, quella sulla tax expenditure, riferita solo al sistema delle imprese, stiamo parlando quasi 14 miliardi. Sono disposto a rinunciarci purché il governo li metta tutti sul taglio strutturale del cuneo fiscale. Noi siamo disposti a questa sfida, adesso sta a Meloni».
Quasi contemporaneamente è il suo vice, Emanuele Orsini, in audizione alla Camera a evidenziare che «resta poco decifrabile il tema delle coperture finanziarie per l’attuazione della riforma fiscale» e che «i maggiori dubbi sorgono sulle ipotesi di flat tax incrementale sugli aumenti contrattuali dei dipendenti. Un sistema di difficile attuazione a fronte del quale proponiamo invece di potenziare le agevolazioni sui premi di risultato, oltre all’aggiornamento delle voci non imponibili ai fini Irpef, ferme ai valori di oltre 25 anni fa».
Ad accogliere Bonomi in trasferta a Torino, alla Nuvola Lavazza, è Marco Gay, presidente di Confindustria Piemonte, che, in una regione dove l’export è la spinta più forte, ricorda quanto «competere con il costo del lavoro tra i più alti dei Paesi Ocse è difficile soprattutto perché ha un impatto sul potere di acquisto delle persone, ancora di più con la crescita dell’inflazione che stiamo vivendo. Eppure lo facciamo e lo facciamo bene». «Cosa potremmo fare a parità di condizioni?», si chiede Gay rafforzando ancora le ragioni che spingono gli industriali a chiedere «un taglio che sia strutturale». E poi, come un mantra, l’auspicio è che ci sia una «semplificazione vera» perché «la mole di leggi oggi fa venire i brividi».
Bonomi assolve le imprese che hanno «dimostrato di avere fatto i compiti a casa», è convinto che «anche quest’anno sfonderemo l’1% di crescita, sempre se vengono fatti alcuni provvedimenti importanti per stimolare gli investimenti». Industriali scagionati anche dalle responsabilità di un’inflazione che non accenna a calmarsi. La stoccata arriva per le politiche della Bce e il mondo del credito: «Fino a un certo punto l’aumento dei tassi di interesse è giustificabile, oltre potrebbe portarci alla recessione che sarebbe drammatica. In questo ritengo che l’Europa stia sbagliando a seguire solo i tedeschi, che hanno un problema storico con l’inflazione ma non possono farla pagare a tutto il sistema europeo. Ho sempre considerato il sistema bancario un partner, mi va bene che si segua la dinamica dell’aumento dei tassi quando si finanzia ma dobbiamo rivedere qualcosa: anche io vorrei avere materia prima a costo zero», dice il presidente di Confindustria. In poche parole «si devono remunerare i depositi». Il dato di fatto, però, è che «sono ottimista perché il sistema bancario è forte. Quello che è successo negli Stati Uniti è dovuto come elemento scatenante alla corsa agli sportelli a ritirare liquidità. Il sistema dei nostri istituti di credito, con tutte le regole che sono state messe in campo, ha oggi capacità di risposta importante».
L’ultimo monito del presidente degli industriali al governo arriva sul Pnrr: «Aveva l’obiettivo grandissimo di fare le riforme, modernizzare il Paese. Il mio timore è che si vada a rendicontare qualsiasi cosa pur di far vedere che siamo in grado di spenderle questi soldi. Piuttosto rinunciamo, ma facciamo le cose fatte per bene». Il paragone è sempre con le aziende: ci si indebita per qualcosa che fa crescere. «Se lo faccio per qualche pista ciclabile in più – conclude – qualche dubbio mi viene».