Domani sì, forse, oggi no. La nuova segreteria del Pd, ci viene spiegato, «sarà annunciata entro la settimana». Presumendo di salvare le feste, dunque al massimo venerdì arriveranno i nomi del prossimo gruppo dirigente di Elly Schlein, se dobbiamo escludere che sbuchi fuori come una sorpresa dall’uovo di Pasqua.
Se saranno rispettate le previsioni che i suoi stessi fanno, per deciderli la segretaria avrà impiegato un tempo ragionevole: quaranta giorni dalla sua elezione, poco meno di un mese dalla sua effettiva proclamazione.
Nel 2019 Nicola Zingaretti ci mise quattro mesi a comporre il suo primo esecutivo: le trattative con le correnti andarono avanti a sfinimento, nonostante la forza del milione e seicentomila elettori che lo avevano votato alle primarie. Era un primo segnale che quel segretario non riusciva a districarsi nelle richieste delle diverse anime del partito. Nel marzo di due anni dopo lasciò l’incarico sbattendo la porta e denunciando che «nel Pd si parla solo di poltrone».
MA CHI SI RICORDA CHI
In queste ore fra Schlein e il presidente Stefano Bonaccini, capo della mozione sconfitta, va avanti un confronto serrato per la composizione della nuova segreteria che alcuni teatralmente definiscono “trattativa”. La lista c’è ma qualche casella ancora balla. Balla per esempio la delega agli esteri: la minoranza la chiede per Alessandro Alfieri, ex diplomatico e capogruppo in commissione esteri al senato, ma la segretaria l’avrebbe proposta a Peppe Provenzano, ex vice di Enrico Letta.
Certa la delega all’organizzazione per Marco Sarracino, molto probabile quella ai diritti per Alessandro Zan; certo Marco Furfaro come vice segretario, forse affiancato da Pina Picierno, spinta dalla neocorrente degli ulivisti (ex sostenitori di Bonaccini, area Letta); la minoranza chiede di essere rappresentata anche da Davide Baruffi, Debora Serracchiani e Simona Bonafé. Probabile la presenza di una “sardina” – ma non è chiaro se sarà la calabrese Jasmine Cristallo –, sicura almeno quella di almeno una delle due ambientaliste vicinissime a Schlein, l’ex Leu Rossella Muroni e la consigliera del Lazio Marta Bonafoni.
Da chi la spunterà si valuteranno i pesi interni della «gestione unitaria» e del partito «plurale». Ma non è affatto detto che passi da qui la nuova classe dirigente, il vero gruppo di comando. Non è andata così nei casi precedenti, almeno in quasi tutti. Anche fra i cultori della materia, difficile che qualcuno abbia ricordi scolpiti del gruppo che affiancava Letta, e che pure veniva riunito una volta a settimana.
C’erano Lia Quartapelle, Antonio Nicita, Chiara Braga, Chiara Gribaudo, Cecilia D’Elia, Enrico Borghi, Anna Rossomando, Antonio Misiani, Cesare Fumagalli, Manuela Ghizzoni, Filippo Del Corno, Susanna Cenni, Sandra Zampa, Mauro Berruto, Francesco Boccia, Stefano Vaccari, Marco Meloni e due vicesegretari: Irene Tinagli e Peppe Provenzano. Al netto del secondo vice, che era stato ministro, quelli che poi si sono guadagnati un ruolo nel partito, lo hanno fatto a prescindere: perché parlamentari o esperti della loro delega, o per propria personalità politica.
A ritroso, lo stesso si può dire della segreteria di Zingaretti: Andrea Martella, Enzo Amendola, Chiara Braga, Pietro Bussolati, Andrea Giorgis, Maria Luisa Gnecchi, Roberto Morassut, Nicola Oddati, Roberta Pinotti, Provenzano (qui con delega al lavoro), Marina Sereni, Camilla Sgambato, Stefano Vaccari, Antonella Vincenti, Rita Visini. I vice erano Andrea Orlando e Paola De Micheli. La squadra cambia quando nasce il governo Conte 2 ed alcuni entrano nell’esecutivo. Fra cui De Micheli; Orlando resta vice unico fino al 2021, quando entra nel governo Draghi e diventa capo delegazione Pd.
Potremmo risalire più indietro, e verificare che nel Pd le segreterie hanno pesato ugualmente poco, meno dei parlamentari o della pattuglia di governo, quando c’era. Con qualche eccezione nelle fasi più acute dello scontro interno. È il caso dell’era di Pier Luigi Bersani: in squadra aveva Maurizio Migliavacca, Roberta Agostini, Stella Bianchi, Cecilia Carmassi, Alfredo D’Attorre, Stefano Fassina, Catiuscia Marini, Matteo Mauri, Marco Meloni, Matteo Orfini, Anna Maria Parente, Francesca Puglisi, Nico Stumpo, Davide Zoggia, a un certo punto ci furono nuovi innesti, non indimenticabili, come Ettore Martinelli, di area mariniana (nel senso di Ignazio Marino).
Nel gruppo, la componente di sinistra, i Giovani turchi di allora (Orfini ma anche Fassina) erano i centravanti d’attacco delle battaglie laburiste che facevano saltare i nervi alla minoranza dei “liberalsocialisti” di Enrico Morando. E talvolta anche agli uomini del vicesegretario Letta, fra i quali già all’epoca c’era Francesco Boccia, oggi capogruppo al senato.
Nel Pd di Matteo Renzi,data la personalità strabordante del leader, la segreteria contava poco, come tutti gli altri organismi di partito e il partito stesso. Le riunioni venivano convocate di mattino prestissimo, alle sette, per non disturbare l’agenda quotidiana del segretario. Ma la sostanziale irrilevanza di quelle riunioni, vale per tutti: i segretari del Pd sono plebiscitati dalle primarie, e arrivano sulla plancia di comando con una forza tutta personale.
LA SCELTA DI SCHLEIN
È anche in questo che Schlein potrebbe segnare una differenza. Se sceglierà una segreteria di personalità forti, ma anche se la trasformerà in un vero esecutivo, dimostrerà di voler dirigere il partito in maniera unitaria e di non essere una donna sola al comando. Che è il modello a cui spinge fatalmente il Pd, al massimo condizionato dalle esecrate (a parole) correnti. Ma Schlein non riunirà i “caminetti” con i capicorrente come i suoi predecessori.
Dunque la sua segreteria potrebbe diventare l’effettivo organismo dove, se non si assumono definitivamente le decisioni, almeno “maturano” le questioni sul tavolo – c’è anche la direzione ma è un’assemblea ampia che necessariamente si riunisce meno spesso -. Per non tenere la marca del comando solo e tutto nelle sue mani, come è stato inevitabile in questo primo mese, e trasferirla in quelle di un collettivo, insomma passare «dall’io al noi», come ha promesso.