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di Telmo Pievani
Carlo Rovelli racconta la sua esplorazione alla volta dei buchi bianchi, gli «elusivi fratelli minori» di quelli neri, «dove il tempo è ribaltato»
I fisici prevedono l’esistenza di entità che nessuno ha mai visto. Elaborano temerari costrutti matematici in attesa che siano riempiti di contenuto. Sono come i sorrisi senza gatto di Lewis Carroll. Qualche volta hanno ragione e verrà il giorno in cui si troverà il gatto a cui appartiene quel sorriso. Altre volte sbagliano e l’azzardo finisce nel paradiso delle idee bellissime che non hanno funzionato. Quelli che hanno visto il bosone di Higgs e le onde gravitazionali avevano ragione. Decenni di tentativi, vicoli ciechi, conti che non tornano, punteggiati da rari momenti di gioia, quando un’idea diventa un luogo reale. Anni di fatica e congressi e vinci casomai il Premio Nobel.
Carlo Rovelli ha visto i buchi bianchi, su una lavagna illuminata dal sole del Mediterraneo, a Marsiglia, con la complicità di un giovane collega statunitense, Hal Haggard. Le scoperte si fanno guardando il mondo anche attraverso gli occhi degli altri. Essendo i buchi bianchi un mondo possibile, bisogna fare un viaggio mentale per arrivarci, un folle volo oltre le colonne d’Ercole che presidiano l’orlo degli eventi. In questa ispirata narrazione, intrisa di citazioni dantesche, Rovelli ci accompagna fin dentro quell’orizzonte — incandescente di materia vorticante — che cinge un buco nero.
Ed ecco la prima sorpresa per le nostre intuizioni naturali. A chi fosse così fortunato da attraversare il margine di un tale mostro non succederebbe proprio nulla. La gravità è fortissima e con essa la distorsione dello spazio e del tempo. Neppure la luce esce più. Tuttavia, lo spazio si strappa solo se visto da lontano, come su una mappa. Il tempo si ferma, ma solo se contato da fuori, non da chi lo sta vivendo. Da fuori, tutto rallenta perché è la luce che rallenta, ma chi sta dentro non se ne accorgerebbe. La chiave di volta metodologica di questa esplorazione scientifica sta nel distinguere cosa si osserva dall’esterno di un buco nero e cosa succede al suo interno. È un radicale cambio di prospettiva: bisogna pensarsi dentro un buco nero.
E allora entriamo, andiamo a vedere con gli occhi della mente. Nella discesa inevitabile in quella voragine, l’imbuto si allunga e si restringe. A un certo punto le equazioni di Einstein non funzionano più, a causa di effetti quantistici: ma non in fondo, dove c’è la stella collassata che ha dato origine al buco nero e che sta ancora cadendo perché il suo tempo scorre lentissimamente. La distorsione diventa critica quando il cilindro dell’imbuto stringendosi raggiunge la scala di Planck. Un’altra sorpresa: la singolarità del buco nero non sta al centro né in fondo, ma nel mentre. Per capire qualcosa di nuovo, bisogna imparare a disimparare.
Raggiunta la zona quantistica, entriamo nell’hic sunt leones della relatività generale. Secondo la teoria della gravità quantistica a loop di cui Rovelli è tra i fondatori, le dimensioni spaziali hanno un limite inferiore: i quanti finiti di spazio e le loro reti. Quindi l’interno di un buco nero non può dilatarsi e contrarsi all’infinito, perché oltre una soglia incontra il limite quantistico della granularità dello spazio. Qui avviene la magia del tunnel quantistico, applicato però non alle particelle bensì allo spazio-tempo. Si compie una transizione quantistica da una configurazione dello spazio a un’altra. In quell’attimo benedetto — che non è nemmeno un attimo perché altrimenti sarebbe già un pezzo di tempo — si attraversa il bordo della realtà, spazio e tempo diventano una nuvola di probabilità.
La scrittura
dello scienziato prende a tratti la forma
di un flusso
di coscienza proustiano
Abbiamo fatto un salto al di là della singolarità, un passaggio di geometrie. Il buco diventa bianco: ora il cilindro si accorcia e si allarga. Dal buco bianco, figlio delle stesse soluzioni delle equazioni einsteiniane ma con il segno meno sul tempo, si può solo uscire e non entrare. La zona di transizione quantistica è il punto di disobbedienza, tutto il resto è in accordo con Einstein. La stella in fondo al buco nero smetterà di sprofondare, a causa della pressione dei quanti a grandissima densità, e rimbalzerà. Forse un enorme rimbalzo è accaduto all’intero universo, nel momento del Big Bang: oggi siamo dentro un universo che si espande, ma può essere che nella sua vita precedente si contraesse. Flussi e riflussi della corrente cosmica.
Ora proviamo a uscire. Come apparirà l’esterno di un buco bianco, se tutto è finito in fondo al buco nero? Adesso siamo quasi abituati alle sorprese. Da fuori, è indistinguibile. Anche lui attrae corpi, perché la gravità, invertendo il tempo, non diventa repulsione, resta attrazione. E tuttavia, da un buco bianco si può solo uscire. Come è possibile? Dall’esterno noi vediamo un corpo avvicinarsi sempre più lentamente verso l’orizzonte, perché il tempo rallenta, esattamente come in un buco nero, con la differenza (che non vediamo) che dal buco bianco la materia può solo uscire.
Inoltre, il rimbalzo non è speculare, perché il buco nero dissipa calore, evapora lentamente e l’orizzonte si rimpicciolisce, proteggendo un volume grandissimo all’interno e molta informazione. Il buco bianco sarà dunque più piccolo del nero che l’ha generato, un fratello minore. Insomma, i buchi neri evolvono alla scala dei miliardi di anni, perché evaporano e perché il loro interno si allunga e restringe. L’informazione residua che avevano risucchiato e che non è stata espulsa esce dall’orizzonte dopo che si è trasformato in bianco.
Il buco bianco è una presenza esile: emetterà una radiazione debolissima per un tempo lunghissimo, restituendo all’universo l’informazione e spegnendosi. Lo facciamo anche noi viventi, dopotutto, come aveva intuito Erwin Schrödinger. Il tempo, pur ribaltandosi, mantiene una direzione: la materia e l’informazione entrano e poi escono. Noi e i buchi neri siamo parte della stessa logica dissipativa: la finitudine. Per questo — scrive infine Rovelli — possiamo dare del tu all’universo, sentirci parte di una storia maestosa.
Il viaggio è anche una scorciatoia vertiginosa verso l’avvenire. Da un buco bianco, infatti, si esce catapultati nel futuro lontano, perché il percorso interno durerebbe pochi secondi o ore, mentre fuori sono passati miliardi di anni. La tenue tessitura del mondo sta nella relazione fra tempi locali diversi, non esiste un tempo assoluto, nemmeno nella scrittura di Rovelli, che prende a tratti la forma di un proustiano flusso di coscienza, senza le maiuscole, con la cronaca delle riscritture in fieri. Tra i dubbi e la speranza che il mondo sia più strano e più grande della nostra immaginazione, il fisico italiano scommette sull’esistenza dei buchi bianchi. Non sappiamo se esistono, restano al momento sorrisi senza gatto. Molti ne cercano le evidenze in cielo, ma è difficile: sono aghi in un pagliaio cosmico, invisibili granelli fluttuanti, per la precisione piccoli come un capello, anche se dentro nascondono vasti mondi. Forse i buchi bianchi fanno parte dell’elusiva materia oscura. E questa sarà la prossima tappa dell’ardito viaggio, dell’incessante sfida all’ignoto che chiamiamo scienza.