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3 Luglio 2024Editoriale
I sei ostacoli ancora da superare
Lo sfruttamento del lavoro è purtroppo una nota costante della nostra economia in alcuni settori ed alcune aree (raccolta agricola in primis) ma facciamo finta di non accorgercene salvo ciclicamente tornare ad indignarci e a stupirci quanto un fatto di cronaca particolarmente efferato rende impossibile non accorgersi del problema. Così è stato purtroppo per la drammatica morte di Satnam Singh, uno dei tanti addetti irregolari in agricoltura che lavorando in un’azienda in provincia di Latina ha perso il braccio in un incidente di lavoro. Il datore di lavoro, piuttosto che soccorrerlo e portarlo in ospedale, ha pensato bene di non chiamare l’ambulanza riportandolo davanti casa assieme all’arto amputato per evitare potesse emergere l’irregolarità (è il famoso “se si fa qualcosa un irregolare sono guai” che abbiamo sentito tante volte). Quando sono finalmente stati chiamati i soccorsi era troppo tardi.
Sarà la giustizia ad occuparsi delle gravi responsabilità legate a questa vicenda (ieri il datore di lavoro è stato arrestato e la Regione si è già costituita parte civile) ma al solito è partito il dibattito sulle vie per affrontare il problema di cui abbiamo visto soltanto la punta emersa in tutta la sua crudeltà. E con essi il solito sacrosanto appello ad una maggiore severità e rigore nei controlli. È evidente che lo auspichiamo tutti ma rischia come in passato di essere solo retorica del momento.
Da decenni il mondo del consumo responsabile cerca di contribuire alla soluzione costruendo e promuovendo filiere giuste e senza sfruttamento e facendo appello al “voto col portafoglio” dei cittadini e ai loro consumi responsabili. Il voto col portafoglio è potenzialmente l’uovo di Colombo. Se tutti compriamo le passate di pomodoro “caporalato free” (per fare un esempio) il caporalato nella raccolta del pomodoro sparisce. È una proposizione quasi tautologica e non confutabile in sé. La realtà è diversa perché esistono almeno sei ostacoli che ci impediscono di raggiungere questo traguardo: troppe persone non sono consapevoli della potenzialità di questo gesto, le informazioni sulla maggiore o minore sostenibilità e dignità del lavoro dietro i prodotti non è completa, il risultato si realizzerebbe se coordinassimo le nostre piccole scelte di consumatori individuali, i prodotti “etici” costano spesso un po’ di più e, anche quando non è così, le persone hanno costi psicologici legati al cambio delle abitudini. Infine, le filiere “etiche” hanno poche risorse per la pubblicità dei propri prodotti e dunque i miliardi spesi nel marketing da chi non s’impegna minimamente nella sostenibilità, o finge di farlo, finiscono per orientare le scelte dei consumatori.
Eppure non è vero che nulla si muove perché lentamente in questi decenni il progresso nelle scelte civiche c’è stato. Nel 1997 la raccolta differenziata era al 9% mentre in un’indagine rappresentativa sui cittadini italiani svolta quest’anno è arrivata al 90%. Nella stessa indagine quasi il 40% degli intervistati dichiara di fare attenzione agli aspetti sociali e ambientali dei prodotti e poco meno del 30% di acquistare almeno qualche volta prodotti certificati green (per non parlare del progresso della diffusione dei prodotti green in ambito di risparmio). La storia della raccolta differenziata testimonia che negli anni, quando l’infrastruttura abilitante è a disposizione e la sensibilità dei cittadini cresce, il comportamento civico può diventare la norma sociale.
Cosa manca allora al consumo responsabile? Senz’altro una diffusione più capillare delle informazioni sulla qualità del lavoro e sulla sostenibilità ambientale dei prodotti oggi tecnicamente possibile con i progressi sulla tracciatura.
Ricordo i primi dibattiti sul tema quando si concludeva sull’impossibilità di scrivere tutta l’informazione necessaria in caratteri piccoli e poco visibili sulle confezioni dei prodotti. Questo problema non esiste più nell’era dei QR code.
Non esistono dunque più ostacoli tecnologici alla costruzione di infrastrutture informative abilitanti al voto col portafoglio. Certificazioni, rating di sostenibilità stanno crescendo e diffondendo ovunque. Esistono già oggi siti online che danno ogni tipo di notizia e vendono prodotti sostenibili.
La cosa più sciocca che ho sentito in questi anni (sono sempre alibi alla nostra pigrizia) è che le imprese sono tutte uguali, cosa di per sé impossibile. Esiste invece un’ampia varietà di qualità e impegno nella responsabilità sociale ed ambientale con primi ed ultimi della classe come in ogni ambito della vita. Qualità che possiamo e dobbiamo premiare dando per altro più forza “politica” anche agli sforzi di costruire ed imporre sui mercati regole diverse.
Con un piccolo sforzo possiamo costruire un mondo dove possiamo diventare protagonisti del cambiamento. Un mondo dove invece di indignarsi e soffrire il limite della nostra impotenza potremmo con un piccolissimo sforzo rimboccarci le maniche e contribuire a realizzarlo. Che non si ripetano più casi come quello di Satnam Singh (o che si riduca comunque la possibilità che possano accadere) dipende o dipenderà anche da noi nel prossimo futuro.