Nella storia della Repubblica non era mai successo: che un presidente del Consiglio attaccasse un’associazione di familiari di vittime, e proprio nel giorno in cui si commemora la strage. Che li additasse come odiatori, che mettono in pericolo «l’incolumità personale» della premier, vittima come sempre, stavolta persino dei familiari delle vittime del più grave attentato terroristico del dopoguerra, 85 morti e oltre 200 feriti.

Sul quale si è consumato un quarantennale travaglio giudiziario, martoriato dai depistaggi. Che però oggi ha scolpito alcune certezze: che gli autori materiali furono tre neofascisti dei Nar, condannati in via definitiva, Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (autoproclamatisi innocenti), e Gilberto Cavallini, sempre dei Nar, e Paolo Bellini, lui invece di Avanguardia nazionale, entrambi condannati in appello.

Anche mandanti e finanziatori sono accertati, non processati perché nel frattempo morti: i vertici della Loggia P2 Licio Gelli e Umberto Ortolani, il capo dell’Ufficio Affari riservati del Viminale Federico Umberto D’Amato e il senatore del Msi Mario Tedeschi. Un tentativo eversivo, dunque, con pezzi dello Stato schierati contro la Repubblica.

SPIETATA STRATEGIA NEOFASCISTA

Quest’anno il corteo e la cerimonia sono stati particolarmente partecipati, nonostante il caldo torrido: c’è stata la recente sentenza di condanna contro Bellini. Ma soprattutto ci sono le rimozioni della destra di governo. Lo scorso anno, intorno all’anniversario, l’allora portavoce della Regione Lazio Marcello De Angelis, ex Terza Posizione, aveva dichiarato via social di sapere «con assoluta certezza» che i condannati sono innocenti.

Un bluff temerario, nel migliore dei casi. Ma la vicenda aveva rivelato che in Fratelli d’Italia le (quindici) sentenze non sono considerate attendibili. E infatti nel partito della premier sono pochi, diciamo quasi nessuno, quelli che definiscono la matrice della strage «neofascista».

La giornata è iniziata con il roccioso messaggio di Sergio Mattarella: la strage, figlia di «una spietata strategia eversiva neofascista», scrive, è un «monito permanente da consegnare alle giovani generazioni unitamente ai valori della risposta democratica della nostra Patria», la memoria «non è soltanto un dovere ma è l’espressione consapevole di quella cittadinanza espressa nei valori costituzionali che la violenza terroristica voleva colpire e abbattere».

A stretto giro Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato, parla di «vile attentato» che «le sentenze hanno attribuito a una matrice neofascista», dove la citazione delle sentenze suona, se non proprio come un dissenso, come un trucco per non dissociarsi dagli innocentisti. I ministri che si esprimono evitano prudentemente di definire la matrice della strage.

Mette una toppa il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, presente a Bologna: «La matrice neofascista è un fatto accertato da sentenze definitive che nessuno può mettere in discussione. Per il governo nella sua interezza è un dato acquisito».

DESTRA EVERSIVA

«È arrivato il momento di riconoscere l’antifascismo come ragione comune e fondativa del nostro patrimonio di valori», chiede dal palco il sindaco Matteo Lepore, «respingendo senza mezzi termini il tentativo ormai palese ad ogni livello istituzionale di superarne la funzione storica, politica e giuridica».

Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, si rivolge alla destra ricordando che «la separazione delle carriere dei magistrati», legge in gestazione, «era un progetto della P2», cioè dei mandanti della strage. «Le radici di quell’attentato affondano nella storia del postfascismo italiano, in quelle organizzazioni nate dal Msi negli anni Cinquanta: Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. E oggi figurano a pieno titolo nella destra italiana di governo». L’accusa è pesante. La premier risponde subito: sulla bomba usa l’espressione concordata con La Russa, «che le sentenze attribuiscono a esponenti di organizzazioni neofasciste».

Ma soprattutto si dichiara «profondamente e personalmente colpita dagli attacchi ingiustificati e fuori misura che sono stati rivolti (…) alla sottoscritta e al governo. Sostenere che le “radici di quell’attentato oggi figurano a pieno titolo nella destra di governo”», o che la riforma della giustizia sia ispirata dai progetti della P2, «è molto grave. Ed è pericoloso, anche per l’incolumità personale di chi, democraticamente eletto dai cittadini, cerca solo di fare del suo meglio per il bene di questa Nazione». Parla, lei, di «clima crescente di odio»; chiede, lei di abbassare i toni: «Mi appello a tutti perché si torni all’interno di una cornice di normale dialettica».

Bolognesi replica: su Gelli, «invito Meloni a leggere il piano di rinascita democratica», e sulla destra eversiva «a pieno titolo» in quella di governo: «Ha sempre detto che l’Msi è il suo partito di formazione, si legga allora la sentenza Bellini, che ha detto di aver lavorato per Almirante e ne ha fatte di cotte e di crude». Almirante, la matrice politica di Fdi. Perché, spiega a Domani lo storico Davide Conti, autore di «Fascisti contro la democrazia», saggio sul Msi dal 1944 al 1974, «durante il processo Bellini ha dichiarato di essersi infiltrato in Avanguardia Nazionale a partire dal 1972 su richiesta di Almirante. Nessuno lo ha smentito. Questo evidenzia un rapporto diretto tra Bellini e i vertici Msi. Prima e dopo la strage. Oggi la giustizia indica Bellini come esecutore materiale dell’attentato. È questo il ragionamento filologico che Bolognesi segue. Senza dimenticare che tra i mandanti/depistatori la magistratura ha individuato un senatore del Msi, Mario Tedeschi».

Da Fdi Federico Mollicone annuncia un’interrogazione sui «molti interrogativi» inevasi dalle sentenze sulla strage, riesumando le “piste” – come quella palestinese – già stracciate dalle inchieste. Ma Giovanni Donzelli dice il contrario: «Ovviamente FdI, il governo, e la destra italiana riconosce la verità» di una sentenza «passata in giudicato», la strage ha «una matrice che affonda nel neofascismo di quegli anni». Ma la rottura della premier con la piazza bolognese è un salto di qualità. Spiega la segretaria Pd Elly Schlein: «Chi amministra una comunità dovrebbe cucire le fratture, sanare le ferite. Meloni fa il contrario: spacca, divide, mette gli uni contro gli altri. È evidente che non è in grado di guidare questo Paese».