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Integrazione dei migranti punto di arrivo inevitabile per l’economia e la società italiana. Perché entro 15 anni nemmeno i migranti basteranno più a colmare il deficit di forza lavoro nell’Italia delle culle vuote e delle emigrazioni. Sulla questione convergono il mondo produttivo, finanziario, la società civile, il Terzo settore.
Manca la risposta chiara della politica che continua ad arroccarsi e a non considerare l’immigrazione come risorsa gestendo gli inevitabili problemi che invece alimentano una narrazione allarmistica. Vista da Mediobanca e dal suo centro studi, la questione migratoria è chiara anche se complicata perché politicamente divisiva anche a livello europeo. Eppure solo i migranti possono cambiare la contabilità della crescita. L’occasione per ribadire la visione dell’istituto di via Filodrammatici per bocca dell’amministrare delegato Alberto Nagel, è venuta ieri a Milano con la prima Corporate social responsibility Conference dedicata al tema dell’accoglienza dei minori non accompagnati in Italia. Ospiti tra gli altri l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Filippo Grandi e la rappresentante italiana dell’organismo Onu per i rifugiati Chiara Cardoletti. «Oggi – ha aggiunto Nagel – la Banca d’Italia stima che nel 2040 potrebbero esserci 5,4 milioni di persone in meno tra i 15 e i 64 anni mentre la forza lavoro e il Pil potrebbero calare del 9%». Occorre una consapevolezza, però, ha concluso Nagel: «Se è vero che le politiche di integrazione strutturate pagano in termini economici, è anche vero che esse vanno prima pagate: richiedono ingenti stanziamenti di risorse pubbliche e lunghi periodi di attesa prima che producano frutti».
Un problema tutto italiano da affrontare è ad esempio l’effetto specchio. Sostiene la ricerca “Gli impatti economici delle migrazioni: problema o risorsa?” presentata da Gabriele Barbaresco direttore dell’Area Studi Mediobanca, solo i paesi con un livello di istruzione più alto dei nativi attirano
immigrati più qualificati. E purtroppo il Belpaese ha la quota più bassa di immigrati con istruzione universitaria tra tutti i Paesi Ue (13%), coerentemente con il fatto che ha anche la seconda quota più bassa di nativi con istruzione terziaria (22%). Questo porta a ricadute sulla produttività. I migranti nel mondo del lavoro italiano appaiono secondo lo studio di Mediobanca «segregati in mansioni a bassa qua-lifica, sia assoluta che relativa, rispetto alle competenze. Se da un lato le imprese ne conseguono vantaggi di costo e aumento dei profitti, dall’altro si generano inefficienze significative».
Quali sono allora i modelli cui guardare? Secondo Barbaresco servirebbe adattare «un mix di politiche virtuose, ispirate ai modelli svedese e canadese di accoglienza e integrazione, che consentirebbe di abbattere al 2060 l’indice di dipendenza italiano in misura superiore al 40%, vincendo tutti i venti contrari della demografia». In Italia ci sono le iniziative di Fincantieri a Monfalcone, dove il gruppo è impegnato a favorire l’integrazione della manodopera straniera. Una politica migratoria è incompatibile con il sostegno alla natalità, come ritengono alcuni? No perché i tassi di natalità degli stranieri in Italia, sono crollati. In conclusione, «le politiche di integrazione paiono la strada obbligata per valorizzare il fenomeno migratorio. Ma resta ancora molta strada da fare».
Che i flussi di migranti e rifugiati non siano destinati a diminuire dopo aver raggiunto la cifra record globale nel 2024 di 123 milioni di profughi lo ha ribadito l’Alto Commissario Onu Filippo Grandi. Le cause sono, oltre a persecuzioni e crisi climatiche, l’aumento dei conflitti e il loro imbarbarimento.
«La gestione delle crisi umanitarie – ha aggiunto -è oggi estremamente complicata: pochi soldi non solo per gli investimenti necessari all’integrazione ma per tutto quello che si deve fare a monte, ovvero investire non solo sul controllo delle frontiere, ma anche sullo sviluppo. Il piano Mattei è una intuizione da sviluppare, mentre i finanziatori privati stanno assumendo al fianco delle Ong un ruolo nuovo».
I più vulnerabili tra i rifugiati sono i minori stranieri non accompagnati. Ne arrivano circa 20 mila l’anno e ne sparisce un terzo.
«L’Italia li accoglie – ha concluso Chiara Cardoletti, rappresentante Unhcr in Italia,- purtroppo non sempre adeguatamente. E spesso non vengono identificati, così ci sono nel nord Italia bambini di nove anni che dichiarano di averne 14. Così scappano e i trafficanti li possono sfruttare». La sfida è farli diventare una risorsa