
Così Vladimir prepara il no al cessate il fuoco
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L’idea di un nuovo ordine mondiale (senza scordare Cina e India). L’arma del gas
Nel giugno 2007, durante un’intervista alla vigilia della riunione del gruppo G8, a Putin venne chiesto se si considerava vero democratico. Certo, rispose lui. «Ma sapete qual è il guaio? Che dico guaio, è una vera tragedia: sono l’unico, altri non ce ne sono al mondo. Guardate cosa sta succedendo negli Usa, in Europa, un disastro ovunque, per non parlare dello spazio post-sovietico. Io speravo nei ragazzi dell’Ucraina ma anche loro si sono screditati, lì si va verso la totale tirannia, nella più completa violazione della Costituzione. Dopo la morte del Mahatma Gandhi, non c’è nessuno con cui parlare».
Lo scherzoPutin confessò in seguito che la frase su Gandhi era uno scherzo, ma come si dice in Russia, il sapore è rimasto. Dopo aver trascorso anni lamentando l’assenza di un vero interlocutore, adesso il presidente russo sente di averne trovato uno.
Tradotto dal linguaggio diplomatico, ieri ha detto: siamo io e lui. Quelli che contano davvero siamo io, Vladimir Putin, e lui, Donald Trump. Non c’è Europa, non c’è Zelensky che tenga, non c’è vertice a Gedda o a Riad. Ci parleremo, e decideremo cosa fare di questa tregua.
La Russia aveva detto di non essere molto interessata a un cessate il fuoco, e ieri lo ha ribadito. L’apertura incondizionata giunta da Trump autorizza Putin a sperare di ottenere molto di più della fine di un conflitto che il suo esercito sta vincendo. Negli ultimi due anni, la strategia e le rivendicazioni del Cremlino sono state legate all’idea di cambiare l’attuale assetto mondiale, facendo in modo che la Russia non si perda, non venga più relegata in secondo piano, come accadde nei selvaggi anni Novanta. Accanto all’ambizione personale di entrare nella Storia con la maiuscola, c’è anche il timore costante di vedere il «mondo russo» in frantumi, come si temeva ai tempi di Eltsin, e come in parte avvenne. In questo senso, la guerra in Ucraina è considerata dal Cremlino come un passo reso obbligato dalle insidie degli ex presunti partner che ostacolano la realizzazione del pensiero putiniano. Deve finire, certo. Ma nei termini voluti dalla Russia, che vanno ben oltre una semplice questione di confine. Altrimenti, avrà vinto ancora l’Occidente, e quindi addio libri di Storia.
Putin non parla a caso di un nuovo ordine mondiale. Come un equilibrista, vuole normalizzare i rapporti con gli Usa, amici mai, e al tempo stesso non gettare il lavoro fatto in questi tre anni di completo isolamento con la Cina e l’India, il famoso nuovo sistema multipolare, senza perdere di vista l’idea di una Grande Europa. Con i Macron e i Merz, giammai. Ma può permettersi di aspettare, è l’unico governante certo di rimanere in carica almeno fino al 2036, a Dio piacendo.
Il barattoSiccome è convinto di avere molto da perdere da una tregua, vuole avere in cambio non proprio la luna, ma quasi: la messa in discussione di quella che lui chiama «architettura globale». Il presidente russo sogna la completa ridefinizione dei criteri della sicurezza internazionale, proposta per la prima volta durante il famoso discorso del dicembre del 2021, che faceva intravedere una fine cruenta della questione ucraina e la sua delusione per il mancato ascolto della Russia sui temi di geopolitica.
Cosa è cambiato da allora? Adesso, Trump è il suo Gandhi, parafrasando la battuta di diciotto anni fa. Putin ha aspettato tanto, ma oggi pensa di avere un alleato perfetto. In Russia quasi non ci credono, di poter dialogare alla pari con il presidente degli Stati Uniti, che se non è un nemico dichiarato della Nato, poco ci manca.
Anche alla Casa Bianca ragionano su un nuovo ordine globale, che possa disimpegnare gli Usa, anche loro danno a intendere di non poter più soffrire gli oneri imposti dall’Alleanza atlantica. Perché alla fine, dopo tanti paroloni sui massimi sistemi, è sempre di questo che si tratta. Della storica ossessione russa per i propri confini, minacciati dalla Nato.
La conferenza stampaUn bersaglio comune, da ridimensionare, spartendo i suoi compiti con altri attori, magari non occidentali. Con il nuovo amico americano, Putin sente di poter pensare in grande. Potere e soldi, siamo fatti per intenderci. Non è un caso che ieri, durante la conferenza stampa in compagnia di Lukashenko, il presidente russo abbia approfittato di un gioco di parole per lanciare un amo economico a Washington. Il suo omologo bielorusso aveva appena finito di dire che «se la Russia si accorda con gli Usa, per Ucraina e Europa sarà il tubo». Un’espressione popolana per dire che saranno cavoli amari. Ma Putin ne ha subito approfittato per parlare del vero «tubo», quello del gas. «È vero — ha detto —. Se ci mettiamo d’accordo con gli Usa, potremmo tornare a rifornire l’Europa a buon mercato e averne tutti dei benefici». Altro che una semplice tregua con l’Ucraina.