
Fondazione Giorgio Cini AGENDA | GIUGNO 2025
8 Giugno 2025
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8 Giugno 2025In memoria di Ruggero Savinio, viandante dell’età dell’oro
In memoria di Ruggero Savinio, viandante dell’età dell’oro
di Massimo Lippi
Ho visto dipingere con l’animo di un bambino il volto della luce, coperto dall’ombra palpitante del Mistero. Sembrava giocasse a palla col destino. Non conosceva l’esito né l’ora, ma intravedeva la realtà ultima delle cose, la più vera. Quella che sentiva scalpicciare tra le foglie morte nei passi dell’autunno, era già lustra di voli intorno al biancore del nido, intatto a primavera. Ruggero Savinio, morto all’età di 90 anni il 1° gennaio di quest’anno, era un poeta del colore, un lirico per vocazione. Figlio di Alberto Savinio e nipote di Giorgio de Chirico, ha tenuto fede costante alla pittura per via di quell’urto violento e fecondo che gli procurava la memoria di una terra lontana, mai visitata, eppure tanto ricca di voci armoniose e di musicali accordi. Un uomo onesto, un artista gentiluomo, attraversato dalla sacra inquietudine del Vero Bene.
Era solo in faccia al dilagare vano di parole, sbiaditi fanghi di stanchi ripetitori del nulla. Cercava nella giostra del mattino la pittura corposa di malinconie. Laggiù nella riviera inascoltata del tempo. Laggiù dov’era nato: nell’età dell’oro. Si fece viandante con Hölderlin per il ritorno
proprio laggiù dove rinasce il sole. Percepiva il barbaro tizzone di quel foco alto, estivo, quando a picco arroventa il cranio delle cose. Dipingeva le sontuose rovine della luce nella Roma antica: barconi incagliati nella terra che dormono fra gli alberi, in mezzo allo stridore cittadino. Dipingeva sopra il mantello buio della storia per riscattarla dal cupo orrore di tutte quelle infinite stagioni. Sapeva disporre lancinanti vivezze di pittore. Esprimeva un’anima totalmente dedita alla bellezza della vita. Domandava, nel silenzio, immagini veritiere alla Speranza. Voleva sapere che cosa ci fosse oltre quel cielo così puro di squilli. Quasi un cesto d’ombre salutari l’avesse rapito per dipingere dal vero il bisbiglio tonante d’Europa: la sera del mondo. Pittura sobria nella forma avvolgente e ragionata, soffusa di voluttà cromatiche impalpabili e di visioni accese. Ruggero Savinio intesseva con falcate di colore, gli accordi e le dissonanze, facendole vibrare con le tonalità del suo nativo fuoco. Rammentava i bagliori del mito e del vulcano. Seppe vedere le meravigliose pitture del Fayyum e Las hilanderas di Velázquez, la pittura veneziana con Tintoretto e i clamori pacati nel paesaggio del Seicento. Amò la pittura romantica e gli estremi esiti di Bonnard, così come i prediletti poeti e i filosofi che portava nel cuore. Aveva un sillabario di giorni antichi e nuovi, cadenzato da un sommesso canto che dava vigore alla fuggente matassa, docile, dei suoi colori. Dipingeva la figura umana perché ascoltava la Persona e i suoi Misteri. Artista letterato e per natura contemplativo della parola che è il timbro e la sostanza medesima della nostra vita, perché cercava il volto dell’Eterno nella bellezza del mondo creato.