
Striscia di Gaza dove almeno 37 persone sono state uccise nei centri di distribuzione statunitensi
17 Giugno 2025
La battaglia per il controllo del sistema bancario italiano
18 Giugno 2025
In 38 minuti il Pd senese ha cambiato capogruppo in Consiglio comunale. Tanto è bastato lunedì sera, in una riunione a porte chiuse nella sede di via di Città, per sostituire Giulia Mazzarelli con Anna Ferretti. Una procedura rapida, chirurgica, formalmente impeccabile. Ma politicamente disastrosa.
Mazzarelli era presente. Ha assistito alla scena, ma si è rifiutata di votare: «Non ero preparata psicologicamente a vedere i miei compagni di partito tirare fuori un foglio per scrivere un verbale e procedere a una votazione senza alcuna discussione nelle sedi ufficiali del partito». Nessuna sfiducia, nessuna motivazione scritta, nessuna assemblea. Solo una decisione calata dall’alto – o meglio, da una stanza.
Ferretti minimizza: “Normale avvicendamento, segno di vitalità”. Frasi di circostanza, pronunciate con tono conciliante, come se bastasse dichiarare che “le differenze sono una ricchezza” per sanare una ferita aperta. Ringrazia Mazzarelli per il lavoro svolto e promette un’azione di opposizione più incisiva nella seconda parte del mandato. Ma la realtà è un’altra: questo cambio non unisce, spacca.
Dietro il linguaggio edulcorato, resta il nodo di un partito incapace di discutere apertamente le proprie scelte, che evita il confronto e preferisce il colpo di mano alla democrazia interna. Un partito che invoca il pluralismo a parole, ma lo ignora nei fatti. Che parla di rilancio, ma zittisce le voci dissonanti.
Mazzarelli è chiara: “Il Pd che vorrei costruirebbe una vera pluralità, si farebbe carico dei problemi reali, rifiuterebbe arroganza e autosufficienza”. Non è solo un j’accuse personale. È la denuncia di un metodo: verticista, opaco, autoreferenziale. È il sintomo di un Pd che sembra aver perso non solo la bussola politica, ma anche la grammatica minima della partecipazione.
Intanto il presidente del Consiglio, Davide Ciacci, prende atto: il regolamento è stato rispettato, bastava la maggioranza del gruppo per cambiare capogruppo. Perfetto. Ma il regolamento non basta a nascondere la crisi di cultura politica che si agita sotto la superficie.
Se questo è il nuovo corso, si presenta con i tratti peggiori del vecchio: autorevolezza imposta, dissenso silenziato, decisioni prese in fretta e senza trasparenza. E soprattutto, nessuna visione. Solo una sostituzione di persona. Come se il problema del Pd fosse un nome, e non un intero modo di stare nella politica.