Segnalano i magistrati che con la rimodulazione “gli investimenti del settore si riducono in misura significativa” Dubbi anche per i poteri ispettivi di Palazzo Chigi: “Non coerente con l’autonomia costituzionale degli enti locali”
ROMA — Le mani di Palazzo Chigi sul Pnrr. Così invasive da travalicare i limiti previsti dalla Costituzione. Tentacolari, fino a ledere l’autonomia di Regioni, province e Comuni. Eccolo il grande azzardo che emerge dal decreto voluto da Giorgia Meloni e dal suo fedelissimo Raffaele Fitto. Obiettivo, controllare il Piano nazionale di ripresa e resilienza da 194,4 miliardi.
Lo scrive la Corte dei Conti: la destra al governo ha forzato la mano. In una memoria depositata in Parlamento, la magistratura contabile lancia l’allarme sulle ispezioni e i controlli a campione che la Struttura di missione – la “stanza dei bottoni” della presidenza del Consiglio – potrà condurre nei confronti dei soggetti attuatori e delle amministrazioni centrali titolari delle misure del Piano: ministeri, enti locali, partecipate di Stato che realizzeranno le grandi infrastrutture finanziate dai fondi Ue. L’esecutivo vuole verificare come l’attuazione degli investimenti e delle riforme viaggi in parallelo alla programmazione concordata con l’Europa; ma sono gli strumenti scelti a essere definiti, di fatto, illegittimi. Perché, ammoniscono le toghe, il potere ispettivo «non appare coerente con i compiti di mero coordinamento attribuiti dall’articolo 95 della Costituzione alla presidenza del Consiglio dei ministri, presso la quale la predetta Struttura è allocata». Un vulnus che, si legge in un altro passaggio del documento, «appare ancor più evidente in caso di esercizio del potere ispettivo nei confronti di Regioni o enti locali, in ragione del principio costituzionale di autonomia che governa i rapporti tra questi e le amministrazioni centrali». Insomma, Palazzo Chigi in versione Grande fratello. Un nuovo atto della centralizzazione del Pnrr che la premier ha perseguito fin dall’insediamento, con lo “scippo” dei poteri al ministero dell’Economia. Voluto e ottenuto, anche con il silenzio-assenso di Giancarlo Giorgetti.
Ma le “picconate” della Corte non finiscono qui. Anche le diramazioni del controllo sui territori presentano forti criticità: la decisione di istituire una cabina di regia presso ogni prefettura rischia di generare un ingorgo se non si definiranno meglio «compiti, ruoli, responsabilità e modalità di raccordo » con il “cervellone” centrale. Altro che velocizzazione dei progetti: così come è scritta, la norma mette a rischio «l’obiettivo di miglioramento dell’efficacia ed efficienza della gestione del Pnrr a livello territoriale».
La matita rossa della Corte si fa sentire anche sulla parte relativa alle coperture del decreto. Evidenzia i tagli alla sanità. «Oltre a ridurre l’ammontare complessivo delle risorse», le forbici tagliano anche gli investimenti già avviati dalle Regioni. Un raffica di rilievi sulla relazione tecnica che, annotano i magistrati, «si limita a fornire gli elementi di sintesi delle valutazioni condotte per pervenire alla stima delle risorse Pnrr da integrare ». E «non vengono riportate le informazioni di dettaglio, al fine di ricostruire pienamente» le stesse valutazioni. Manca persino l’elenco delle misure che richi edonopiù risorse. È così confuso il quadro finanziario che sui conti pubblici aleggia un dubbio. Meglio, una zavorra: in futuro potrebbero essere necessari «integrazioni degli stanziamenti di spesa» In aggiunta ai 16 miliardi che il governo ha dovuto recuperare a colpi di tagli per finanziare i nuovi progetti e una parte di quelli che non potranno più contare sul Pnrr. Il conto lo pagheranno i ministeri, le Regioni e i Comuni: a loro sono stati imposti sacrifici e controlli. Meno ospedali, per la stretta sulla sanità. I cantieri delle ferrovie più lenti, per la scelta di asciugare il Fondo “anti inflazione”. Persino il rinvio dei fondi per la ricostruzione post terremoto. Ha deciso tutto Palazzo Chigi. Con le sue “mani”.