Il cemento, i rifiuti, la droga: può raccontare un sistema che intreccia violenza e profitto
La camorra degli affari ha il volto di Sandokan. Dal calcestruzzo al traffico di rifiuti tossici, dal riciclaggio nell’edilizia al mercato internazionale della droga, non c’è attività illecita in cui Francesco Schiavone non abbia lasciato la sua impronta, in Italia e all’estero, dalla Spagna agli Stati Uniti. Un esempio di capitalismo criminale. Un flusso di denaro sporco che il boss è riuscito a gestire anche dal carcere attraverso familiari e prestanome.
Ora Schiavone ha deciso di collaborare con la giustizia. Una scelta non semplice da decifrare per uno con il suo profilo. Pluriergastolano e assassino. Tessitore di alleanze con la politica fin dai primi anni ‘90, rapporti indispensabili per infiltrarsi negli appalti pubblici. Sovrano assoluto di una cosca che ha investito il denaro del racket in Emilia, Toscana e perfino a San Marino. Villette e alberghi anche in Spagna, il Paese da cui i casalesi dirottavano in Italia la cocaina in arrivo dal Sudamerica. Ora Schiavone ha scelto di raccontare i suoi segreti ai magistrati. Entrare nella mente di un camorrista o di un mafioso è un’operazione culturale e psichica complessa. Provare a farlo quando uno di essi comincia a collaborare è ancora più difficile.
È molto probabile che un calcolo fra costi e benefici sia sempre alla base di qualsiasi loro scelta. Ma il caso di Sandokan, capo assoluto del cosiddetto “clan dei Casalesi” sembra del tutto particolare. Il suo pentimento si verifica a oltre 25 anni dalla cattura e dopo una lunghissima detenzione al 41 bis, quando il clan è già da tempo in gran parte smantellato e a pochi giorni di distanza del trentesimo anniversario dell’uccisione di don Peppino Diana nella chiesa di Casal di Principe. In ogni caso, Schiavone non ha seguito la strada di un Totò Riina, di un Bernardo Provenzano, di un Raffaele Cutolo, di un Girolamo Piromalli, cioè di alcuni boss (del suo stesso peso all’interno della loro organizzazione) che non si sono mai pentiti. Sicuramente avrà tante cose da raccontare agli inquirenti, un pezzo di storia del nostro Paese potrà venire fuori dalle sue parole, a partire da ciò che veramente successe durante la crisi dei rifiuti che mise in ginocchio Napoli e la Campania nei primi anni 2000 e che si risolse improvvisamente appena Berlusconi tornò al governo nel 2008.
Sandokan è la dimostrazione che i mafiosi sono assassini e al tempo stesso uomini d’affari. Ecco perché va sempre ricordato che Cosa nostra è solo una forma originale di mafia, ma non l’unica. Sia alcuni clan di camorra sia altri di ’ndrangheta hanno dato alla violenza un indirizzo imprenditoriale più marcato, come già era avvenuto in Sicilia nei decenni precedenti.
Schiavone è stato uno dei principali protagonisti di questa svolta, testimoniando nei fatti che tra illegalità, violenza e mercato non è mai esistita una contrapposizione totale, ma al contrario una forte interconnessione: si può fare economia anche fuori dalla, o addirittura contro la legge. Il cuore delle attività mafiose (anche se illegali) non è l’omicidio, ma il profitto. Il profitto è il fine, la violenza il mezzo. È come se i mafiosi fossero imprenditori di due mondi, quello illegale e quello legale. La loro abilità sta nello spostarsi dall’uno all’altro campo senza grandi difficoltà e senza mai abbandonare l’uno per l’altro. Gli affari di Sandokan andavano dalle produzioni agricole all’edilizia post-terremoto del 1980, dalla costruzione di infrastrutture di collegamento (a partire dall’alta velocità Napoli-Roma), ai rifiuti, trasformando le campagne tra Caserta e Napoli nella zona a più altra concentrazione di rifiuti tossici d’Italia, smaltiti a basso prezzo per molte industrie del Centro-Nord. Il clan dei Casalesi diede addirittura vita a due consorzi per la produzione di cemento che, in regime di monopolio, rifornivano tutte le ditte del settore. E alcuni dei suoi referenti divennero i distributori monopolisti dei prodotti Cirio e Parmalat. Per decenni Caserta e il suo territorio sono stati zona franca per i criminali. La camorra casalese ha avuto il vantaggio di un ventennio prima di diventare un problema serio per gli apparati repressivi dello Stato. Ha scritto in proposito Federico Cafiero de Raho: «Quando nel 1993 iniziai le indagini sui Casalesi, per prima cosa telefonai ai comandanti delle varie stazioni dei carabinieri della zona. Nessuno però ammise di sapere che nel Casertano c’era la camorra».
Un prefetto di Caserta ebbe a dichiarare il 30 luglio 1997 (quando già la camorra controllava ampiamente il settore dei rifiuti) che «per quanto riguarda le presenze malavitose nel settore dei rifiuti solidi siamo ancora ai “si dice”. Riscontri obiettivi sulla presenza della criminalità organizzata non ne abbiamo ». A dimostrazione che il successo della criminalità organizzata è sempre la parte evidente della disorganizzazione dello Stato e dei suoi apparati o della aperta connivenza di ambienti non mafiosi. Se Sandokan raccontasse quali consensi ha avuto nel mondo delle imprese legali, darebbe un grande contributo alla comprensione del funzionamento di settori importanti della nostra economia.