Altro che la falsa indagine contro Arianna Meloni spacciata dal Giornale. A tormentare gli ultimi giorni di ferie di Giorgia Meloni, a farle temere per il futuro del suo governo c’è un altro pensiero: quei pericolosi bolscevichi dei figli di Berlusconi, Marina e Piersilvio. La premier pensa, a ragione, che siano stati loro a tirare il mite Tajani per la giacca e a spingere il ministro degli Esteri, già alle prese con due guerre, alla campagna d’estate sullo ius scholae, la cittadinanza per i minori immigrati, tema che a destra è come la criptonite.

All’inizio erano solo mezze dichiarazioni nel pieno del clima olimpico, con le vittorie degli atleti italiani con la pelle nera. Poi la cosa si è fatta più seria, fino al crescendo di ieri al Meeting di Rimini, con Tajani che, come trasfigurato, tira fuori il petto e dice «non accetterò imposizioni». Per chi mastica un po’ di politica è chiaro si tratta di uno scarto, nei toni soprattutto, che non ha precedenti in queste legislatura, fatta salva sola la proposta dello scorso anno sugli extraprofitti delle banche che fu ritirata proprio per il fuoco di sbarramento dei forzisti. E del resto i Berlusconi hanno una banca e quando gli tocchi la roba quelli s’infuriano come il papà.

Stavolta però non c’è in campo nessun affare di famiglia, e allora la cosa si complica. Anche perché Salvini, sempre più condizionato da Vannacci, che nel famigerato libro se la prendeva con la pallavolista Paola Egonu accusandola di scarsa italianità, non può certo indietreggiare nella sua guerra contro gli immigrati. E così la tensione sale, su un tema che finora era rimasto fuori dai radar di Meloni e della maggioranza.

E allora la domanda che tutti si fanno nel cerchio magico della premier è: «Dove vuole arrivare Tajani?». Il timore è che stia preparando lo strappo, lo sganciamento dai sovranisti, dandosi una verniciata liberale e turbo europeista. Ma per andare dove? Qui le ipotesi si fanno fantapolitica, perché è chiaro che un voto di Fi con le opposizioni sullo ius scholae segnerebbe uno strappo difficilmente recuperabile. Se Pd e alleati in autunno porteranno la legge in aula si vedrà se è un bluff o meno. In pochi credono, a sinistra, che Tajani andrà fino in fondo.

E tuttavia queste campagne di consapevole logoramento, spesso in passato hanno dato frutti amari per i governi: Fini nel 2010 sulla giustizia contro Berlusconi, Renzi contro Conte sul Mes nel 2020. Sabotaggi studiati e di successo che hanno portato a governi di larghe intese, prima Monti e poi Draghi. Governi certamente apprezzati da poteri forti e establishment italiani ed europei che Meloni teme come vampiri, e che ha spesso evocato come interessati a farle lo sgambetto.

Il contesto attuale non fa pensare a scenari di questo tipo: il debito pubblico è da record, ma lo spread non suscita allarmi. E le opposizioni, in primis il Pd di Schlein, hanno fatto capire chiaramente che stavolta se il governo cade si torna a votare: niente larghe intese. Schlein ne ha fatto un punto d’orgoglio, uno dei capisaldi della sua campagna per la leadership del Pd: «Con me niente governi tecnici».

E tuttavia in casa Meloni la pazza estate di Tajani non fa dormire sonni tranquilli. Troppo alti i toni, troppo strumentale il tema, visto che non c’è nessuna emergenza legata alla cittadinanza e che negli anni scorsi anche la sinistra non è mai arrivata a punto su una riforma a favore dei giovani immigrati.

Le opposizioni, in ogni caso, si preparano a vedere le carte: a settembre sarà chiesta la calendarizzazione in aula di una mozione del Pd che chiede una «riforma della legge sulla cittadinanza», indicando lo ius soli ma aperta anche a soluzioni più light come lo ius scholae. «Siamo pronto a confrontarci con tutti per arrivare a un risultato», fa sapere il responsabile Immigrazione del Pd Pierfrancesco Majorino.

In casa dem sono consapevoli che quella di Tajani è soprattutto una «mossa di posizionamento politico», per parlare a un elettorato moderato, cattolico e lontano dalla destra estrema. E tuttavia anche loro sono stupiti dai toni del titolare della Farnesina. Nessuno pensa realmente che i figli di Berlusconi vogliano mandare a casa Meloni. Anche perché sarebbero pochi i parlamentari di Forza Italia pronti a perdere il potere senza una concreta prospettiva di conservare il posto.

Resta il fatto che Meloni è preoccupata. Sul tema ha detto il meno possibile, mandando i suoi a spiegare che «non è la priorità». Poco conta che la stessa premier due anni fa avesse sposato la proposta di dare la cittadinanza al termine della scuola dell’obbligo. Oggi la priorità è non farsi scavalcare a destra da Salvini e Vannacci. E soprattutto fermare l’operazione dei fratelli Berlusconi. L’incubo è iniziato a fine giugno con l’intervista di Marina al Corriere, in cui la primogenita si diceva «più in sintonia con la sinistra sui diritti». Da lì è partita la slavina.

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