La figura e l’opera di Brian McGuinness (1927-2019), traduttore in inglese (con David Pears) del Tractatus logico-philosophicus ed autore, tra l’altro, di fondamentali studi sulla filosofia di Ludwig Wittgenstein, viene celebrata al The Queens College di Oxford. Nel 1990 McGuinness fu chiamato per chiara fama presso l’Università degli Studi di Siena, la «sede tranquilla», come egli la designa ricorrendo al verso di Virgilio (sedes ubi fata quietas ostendunt). Da allora, ha scritto, a Siena, «per quella che mi sembrava una nuova vita», si è stretto «un legame con l’Italia che mi ha dato molta gioia».

Traggo queste citazioni dalla Introduzione che McGuinness stese nel 2001 quando gli proposi la ristampa, da accogliere in una collana dell’editore Cadmo da me curata, del suo studio giovanile Raffigurazioni e forma nel Tractatus di Wittgenstein, pubblicato nel 1956 a Roma nell’«Archivio di Filosofia» di Enrico Castelli, nella traduzione italiana di Alberto Gianquinto.
A segnalare quel saggio a Castelli fu Giancarlo Colombo che McGuinness aveva incontrato ad Oxford quando, ricorda, Colombo «venne a completare e glossare la prima traduzione italiana del Tractatus».

A proposito di quel volume dell’«Archivio di Filosofia» McGuinness scrive: «Solo quando il volume fu pubblicato mi resi conto in quale compagnia ero stato innalzato: fra gli altri saggisti Przywara mi era meglio noto di Adorno, ma sapevo che anche il secondo era qualcuno. Ora comprendo ancora più vivamente l’onore, perché il volume contiene inoltre un interessante articolo di Alberto Gianquinto che è stato così generoso, per la sua grande devozione alle idee (anche altrui), da fare quella che mi pare una traduzione esemplare delle parole talora esitanti di un esordiente».

Vorrei qui delineare un ritratto di Brian McGuinness a Siena alla maniera di Thomas Gainsborough (1727-1788) che raffigura John Plampin o i coniugi Andrews en plein air, nel paesaggio delle loro residenze nella campagna inglese.
La vita in campagna nella quotidiana presenza del volgere delle stagioni. C’è in Gainsborough, nella sua rappresentazione della natura educata dalla mano dell’uomo, una allusione al coltivare inteso come riscatto dal peccato originale: creare un giardino su questa terra in attesa del paradiso promesso in cielo. Con questo spirito, intendo qui evocare la luce e l’atmosfera della sua residenza senese. Scelse Brian una antica casa colonica a poca distanza dalla città, costruita su una collina molto dolce, appena rilevata, ma che offriva per la sua posizione una vista su un’ampia parte dell’orizzonte, oltre le vigne e gli oliveti esposti a oriente, verso il levar del sole.

Il nome del luogo è Monte Chiaro. Nome, se possibile, perfetto. Un vasto cielo, un susseguirsi di basse colline verdi dove corre un piccolo fiume l’Arbia, menzionato da Dante nella Commedia.
Una breve scala esterna saliva al primo piano della casa di Monte Chiaro. Nella stanza d’ingresso, sulla bianca parete di fronte alla porta, era appesa una litografia di Henri Matisse. Fiori ricamati su una blusa e il volto di una donna. L’arte del Novecento con la sua aspirazione ad una bellezza nuova, con le sue domande sulla condizione umana, ti veniva incontro in quella composizione dalle tinte sapientemente contrastate.

Sotto la stampa di Matisse uno scaffale accoglieva, numerosi e in ordine, i volumi della Loeb Classical Library, verdi le copertine degli autori greci, rosse quelle dei latini. Nella luce di Monte Chiaro i raggi del sole si posavano vivi sulla giovane pittura e sugli antichi testi.

Ai piedi della scala, dinanzi al prato che circondava la casa, era sotto un pergolato d’uva che Brian ospitava i commensali e le conversazioni si protraevano fino al tramonto. Mi piace concludere questo mio ricordo di Brian citando la nota che R. S. Conway nella sua edizione di Aeneidos liber primus appone al verso di Virgilio richiamato da Brian. Vi si legge che sedes quietae è l’espressione che Lucrezio nel De rerum natura (III, 22) sceglie per accennare alla sede intramondana degli dei che «risplende nella sua ampiezza di luce diffusa» (large diffuso lumine ridet). Come nella casa di Brian a Monte Chiaro.