Non c’era niente. Nessun accordo con i trafficanti. Nessun favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Nessun taxi del mare. Nessun inganno alle autorità che coordinavano i soccorsi. Solo fango mediatico e bugie di Stato contro attivisti e operatori umanitari che si erano imbarcati per salvare vite umane di cui a molti non importa nulla. Lo ha stabilito ieri il giudice per l’udienza preliminare di Trapani Samuele Corso nel maxi-processo alle ong: tutti prosciolti perché «il fatto non sussiste» e dissequestro della nave Iuventa, bloccata nel porto siciliano da quel 2 agosto 2017 che ha cambiato per sempre il soccorso in mare.

È STATA LA MADRE di tutte le indagini sul Mediterraneo centrale: doveva dimostrare che lì non avvenivano salvataggi ma «consegne concordate» tra trafficanti e organizzazioni umanitarie. Per farlo gli inquirenti hanno usato infiltrati, microspie e intercettazioni a tappeto. Hanno trascinato alla sbarra grandi organizzazioni come Medici senza frontiere, premio nobel per la pace nel 1999, o Save the children, convenzionata con il Viminale e parte di progetti delicati come quello nell’hotspot di Lampedusa, insieme al piccolo collettivo di Jugend Rettet: ragazze e ragazzi, attivisti e volontari che avevano comprato la Iuventa con un crowdfunding per battersi contro i naufragi dei migranti.

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Depistaggio o pregiudizio. Il lato oscuro delle indaginiLA DECISIONE DEL GIUDICE ha accolto in pieno le richieste delle difese stabilendo che i comportamenti degli imputati non rappresentano, in senso oggettivo, dei crimini. Al contrario, sono stati l’adempimento al dovere di soccorso, tra l’altro sotto stretto coordinamento della guardia costiera italiana. La procura, le cui posizioni si sono ribaltate nel corso dell’udienza preliminare, aveva chiesto il proscioglimento perché «il fatto non costituisce reato»: i soccorritori avrebbero favorito l’ingresso di cittadini stranieri sul territorio nazionale ma in buona fede. Se fosse passata questa tesi il processo vero e proprio non si sarebbe comunque tenuto, ma il significato politico sarebbe stato molto diverso. Il gup ha rimesso le cose a posto, sebbene non abbia voluto aprire un fascicolo per approfondire le ragioni delle enormi falle di tutto l’apparato accusatorio. «A questi ragazzi, criminalizzati dentro e fuori le aule di giustizia, sono dovute delle scuse. Siamo già a lavoro per nuove azioni a tutela dei diritti violati in questo e negli altri procedimenti contro soccorritori e persone migranti», avvisano i legali di Iuventa Francesca Cancellaro e Nicola Canestrini.

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Iuventa, una vergogna che non si può esorcizzareIL PROSCIOGLIMENTO DI TRAPANI riguarda dieci dei sedici imputati complessivi, ma verosimilmente ricadrà presto a cascata sugli altri filoni. Il 7 luglio 2023, infatti, la Cassazione aveva spacchettato la vicenda tra i tribunali di Trapani, Palermo, Castrovillari, Ragusa e Vibo Valentia. Un momento chiave perché la massima Corte ha riconosciuto che non esisteva alcuna regia criminale comune e così ha riassegnato le competenze territoriali. È lì che il teorema della procura ha iniziato a sgretolarsi. Dallo scorso autunno, poi, i difensori hanno notato un cambio di atteggiamento del gup, interessato ad acquisire molte più informazioni e chiarire le residue ambiguità. Fino a quel punto le probabilità di rinvio a giudizio erano molto alte, raccontano gli avvocati. Nonostante fossero innocenti, gli imputati hanno dovuto convivere dal 2017 a ieri con la possibilità di finire in carcere, fino a 20 anni. Per questo all’uscita dall’aula è esplosa una gioia covata da tempo e gli abbracci si sono mischiati alle lacrime. A commuoversi gli attivisti di Iuventa – Kathrin Schmidt, Dariush Beigui e Sascha Girke presenti a ogni udienza -, i solidali accorsi a sostenerli, persino alcuni avvocati.

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Kathrin Schimdt, ultima capomissione: «La decisione arriva tardi. La Iuventa è distrutta»ALLE VITTIME DEI CONFINI ha rivolto il primo pensiero Schmidt a nome della Iuventa: «È stato un processo politico che non sarebbe mai dovuto cominciare. Ma le persone che pagano il prezzo più alto della limitazione della libertà di movimento non siamo noi. Esprimiamo solidarietà a chi ha perso la vita, a chi è in carcere per aver attraversato le frontiere o aiutato altri a farlo». «Questa sentenza è una speranza per un futuro in cui si possa tornare a parlare di soccorso in mare tenendo lontane accuse senza fondamento», ha detto Marco Bertotto direttore programmi di Msf Italia. Per Raffaela Milano portavoce di Save the children «ora il soccorso umanitario va messo al primo posto delle politiche migratorie, non può esserci difesa dei confini che metta a rischio vite umane».

Kathrin Schmidt

Un processo politico che non sarebbe mai dovuto iniziare. Ma le persone che pagano il prezzo più alto della limitazione della libertà di movimento sono i migrantiSUL PIANO POLITICO esulta la leader dem Elly Schlein: «Sentenza storica, vince la legge del mare». La segretaria deve segnare un cambio di passo reale sul tema, perché il maxi-processo affonda le radici nella gestione minnitiana del Viminale. Il segretario di Si Nicola Fratoianni ha chiesto ai «politici di destra come Malan e Gasparri che alimentarono quella campagna vergognosa» di andare in tv e scusarsi. Ha risposto il forzista: «Il mio giudizio sulle ong non cambia, favoriscono i trafficanti»