«Mi spiace andare, la vita è fantastica Adesso sono libero di volare ovunque»
17 Giugno 2022Nuovo Csm, la legge c’è ma forse non basta
17 Giugno 2022Allora sembra che siano i Cinque Stelle i primi a esplodere. Dopo la disfatta di domenica era solo questione di tempo, ma c’era la curiosità di capire chi dei due, Conte o Salvini, avrebbe inaugurato la resa dei conti. Salvini è riuscito a guadagnare tempo con l’espediente di rinviare a settembre un’improbabile “verifica” sull’agenda di Draghi. Viceversa i 5S, molto meno strutturati e organizzati della Lega, sono subito andati in cortocircuito. Da tempo Di Maio ha ben poco in comune con l’avvocato pugliese e anche con quel che resta dello spirito originario del “grillismo”. Tuttavia egli è il responsabile degli Esteri in una situazione di crisi internazionale, con la guerra che lambisce l’Europa: fa parte a tutti gli effetti dell’ establishment e agisce da ministro in stretto raccordo con il presidente del Consiglio e il capo dello Stato.
È credibile che le manovre tattiche di Conte, peraltro impacciate, possano incrinare il governo in un momento come questo? In un certo senso è possibile, tanto che Di Maio è uscito dai suoi silenzi e ha attaccato il rivale, pur senza nominarlo. Ha capito di essere lui la vittima designata: lui e il suo incarico alla Farnesina che rappresenta la garanzia di tenere il M5S, il gruppo più forte nell’attuale Parlamento, ancorato alla politica estera europea e atlantica (testimoniata giusto ieri dalla visita a Kiev di Draghi insieme a Macron e Scholz). Non a caso nei 5S si parla adesso di un’ipotesi bizantina, forse troppo per essere credibile: uscire dal governo, ma restare nella maggioranza parlamentare. Sarebbe un’operazione tipica degli anni lontani della Prima Repubblica, proprio quel mondo che i “grillini” dicevano di voler contestare.
Va detto che Conte ieri a Bologna, a Repubblica delle Idee, l’ha smentita in modo abbastanza netto.
Peraltro, messa in atto oggi, questa manovra danneggerebbe il governo Draghi in forme quasi irreparabili. Lo indebolirebbe, proprio per il peso rilevante dei 5S alle Camere. E al tempo stesso costringerebbe il premier ad assumere l’interim degli Esteri oppure ad assegnare quel ruolo delicato a un altro partito della coalizione. Ma a chi?
Qualunque scelta creerebbe uno squilibrio che di questi tempi è consigliabile evitare. Ecco allora che Di Maio difende se stesso, ed è inevitabile che lo faccia anche pensando al rischio di non essere candidato per il terzo mandato. Ma difende altresì un assetto generale in politica estera che Draghi e Mattarella vogliono tutelare. In altre parole, le mosse di Conte tendono a creare una certa instabilità, a cominciare dal tema cruciale della lealtà atlantica in uno scenario di guerra.
Ora, è evidente che l’alleanza con il Pd asse portante del famoso “campo largo” – impone ai Cinque Stelle il dovere di chiarire chi sono e dove vogliono andare. In questo momento tutto lascia pensare che Conte e Di Maio non siano più in grado di convivere. E la spaccatura è proprio sulla politica estera, benché l’ex premier – forse non del tutto a torto – abbia insistito a Bologna nel dire che il problema urgente del ministro è più che altro l’incertezza sul terzo mandato. In realtà l’ambiguità del partito “contiano” sull’Ucraina e su altro è oggi un tema cruciale che Letta non potrà mettere tra parentesi. A maggior ragione se si arrivasse alla frattura finale con l’ala governativa rappresentata da Di Maio.