Niccolò Zancan
Una banana marcia come regalo di Natale. E tutti giù a ridere. Ma cosa c’è da ridere? «Dentro il pacco c’era un sacchetto dell’umido. Dentro il sacchetto, la banana. Oltre a reputare quel gesto offensivo, la cosa che mi ha fatto più male è stata proprio vedere la maggior parte dei miei compagni di squadra ridere e divertirsi. Non ho dormito tutta la notte».
Cherif Traorè, 28 anni, è un giocatore di rugby italiano originario della Guinea Conakry. Per sedici volte è stato convocato in Nazionale nel ruolo di pilone. È arrivato in Italia con i genitori quando era un bambino. Ha studiato a Parma, dove ha incominciato la sua carriera sportiva. Dal 2015 gioca nel Benetton Treviso, una delle squadre più importanti del campionato. Era per lui quella banana marcia.
Ieri ha deciso di denunciare con un post su Instagram quello che gli è successo durante la festa di Natale della squadra. «Come da tradizione, dopo cena arriva il momento del Secret Santa. Un momento conviviale e scherzoso. Un momento dove ti puoi permettere di fare regali anonimi ai tuoi compagni, di quelli anche pungenti, ironici». Il regalo ha il nome del destinatario. Ma non quello del mittente. Un pacco sorpresa, che è anche un pacco anonimo. «Quando è stato il mio turno, il mio regalo era una banana». E sul fatto che sia un gesto di razzismo e non di goliardia non dovrebbero più sussistere dubbi. È stato in quel momento, di fronte alla scoperta nel sacchetto dell’umido, che molti compagni di squadra di Cherif Traorè sono scoppiati a ridere.
«Sono abituato, o meglio mi sono dovuto abituare, a dover fare buon viso a cattivo gioco ogni volta che sento battute a sfondo razzista per cercare di non inimicarmi le persone vicine. Ieri, però, è stato diverso. Fortunatamente alcuni compagni, soprattutto stranieri, hanno cercato di supportarmi. Fuori dall’Italia, un gesto come questo è condannato gravemente anche all’interno di piccole realtà. Questa volta voglio dire la mia». Così il pilone della nazionale italiana ha scelto di non rimanere in silenzio. Non è la prima volta che ha dovuto sperimentare il razzismo. Ha passato la notte insonne. Ci ha pensato, infine ha capito di non voler più stare a queste regole: «Al Secret Santa erano presenti anche ragazzi giovani di origini diverse. Questa volta ho deciso di non stare in silenzio, per fare in modo che episodi come questo non succedano più, per evitare che altre persone si ritrovino in futuro nella mia stessa situazione. E sperando che il mittente impari una lezione».
Le prime reazioni sono state improntate a una solidarietà poco più che di facciata. Il sindaco di Treviso, Mario Conte: «Dispiace per quello che è successo al giocatore Cherif Traorè: un episodio spiacevole, dal quale tutti noi prendiamo le distanze e che non rappresenta in alcun modo la città, lo sport e, in particolare, il rugby e la squadra del Benetton, da sempre esempio di rispetto e di sani principi». La società ha scritto un comunicato: «Comportamenti simili non hanno nulla a che vedere con lo sport e davanti ad episodi del genere Benetton Rugby sarà sempre dalla parte del rispetto delle persone, della loro cultura, della loro etnia, della loro fede e della loro dignità. Condanniamo con la massima fermezza ogni espressione di razzismo». Ma intanto è stato chiesto a tutta la squadra, e a Cherif Traorè per primo, di non rispondere ai giornalisti e di evitare qualsiasi altro commento sull’accaduto. Il mittente della banana marcia è rimasto sconosciuto per quasi tutta la giornata di ieri. Fino a quando, a tarda sera, dopo una lunga riunione della squadra con l’allenatore e i dirigenti, si è fatto avanti.
Ma Cherif Traorè non arretra: «Mi ha chiesto scusa, ho dovuto accettare perché siamo una squadra e dobbiamo giocare. Ma basta, ho deciso: a fine stagione me ne vado. È già successo altre volte. Ho sempre sofferto. La mia famiglia mi ha sempre chiesto di passarci sopra. Ma adesso non riesco più. In Italia ci sono ancora delle persone che non capiscono che siamo tutti uguali. Quando ho ricevuto la banana, ho guardato i ragazzi dell’Accademia. Mi sono domandato cosa avrebbero pensato di me. Non potevo stare zitto».
Luciano Benetton non ha voluto commentare, ma ha chiamato direttamente Cherif Traorè e lasciato un messaggio sul suo telefono: «Non deve succedere mai più». Il regalo contraddice quarant’anni di campagne inclusive contro il razzismo. Oliviero Toscani, che di quelle campagne era il fotografo, ha commentato da par suo: «Gli sportivi sono una massa di teste di cazzo, a parte Muhammad Ali. Non hanno neanche il coraggio di dire che sono gay, nessuno di loro è impegnato socialmente, politicamente… Mi stanno sui coglioni. Non possono fare altro. Hanno un cervello troppo piccolo, di grosso hanno solo i muscoli».
Uno vero sportivo di sicuro c’è. Ed è Cherif Traorè, 28 anni, giocatore della nazionale italiana, che non ha lasciato correre. Questo è un placcaggio. —