Violenza e razzismo, le curve hanno un nuovo obiettivo: le gang giovanili delle seconde generazioni di migranti Tra agguati e raid punitivi almeno venti casi in tre mesi
Ultrà contro maranza. I picchiatori delle curve del calcio contro le comitive di ragazzi – per lo più immigrati di seconda generazione – che si distinguono per modi sguaiati, abbigliamento appariscente e a volte la tendenza ad attaccar briga. È il fenomeno che da mesi si sta diffondendo a macchia di leopardo nelle città italiane. Soprattutto al Nord. Veneto, Lombardia, Emilia- Romagna, Piemonte, Liguria, Friuli Venezia-Giulia. Quasi sempre confinati nelle cronache locali, da tempo gli episodi di violenza – risse, agguati e raid punitivi – si sono moltiplicati. I tifosi più oltranzisti si ergono a paladini della sicurezza e a “guardiani” del territorio contro la “minaccia” rappresentata – nella loro narrazione xenofoba – dal meticciato.
«Gli ultrà escono dagli stadi e “scendono in campo” anche altrove cavalcando la tensione sociale», spiega il sociologo Maurizio Marinelli, esperto di tifoserie, per anni direttore del Centro studi sicurezza pubblica della Polizia di stato. Poi aggiunge: «Li abbiamo già visti in azione nella proteste Covid. Perché ce l’hanno proprio coi maranza? Per due motivi. Primo, perché a loro volta i maranza sono spesso protagonisti di provocazioni di strada. E secondo, perché in questi gruppi la componente post-migratoria prevale. Il che disegna uno schema: noi-italiani contro loro-stranieri». Tra pulsioni nazionaliste-protezioniste- suprematiste e scontro tra bande, talvolta col pretesto delle campagne securitarie in nome del “ripuliamo la città”, centri urbani e periferie diventano terreno di conflitto.
Negli ultimi tre mesi sono almeno una ventina i casi venuti a galla. Sabato 22 febbraio, Reggio Emilia. Dopo la partita di serie B Reggiana- Carrarese all’esterno del Mapei Stadium gli ultrà emiliani si avventano contro un giovane immigrato di seconda generazione. La sua colpa? Avere investito con il monopattino una donna. Mentre viene medicata, gli ultrà prendono a calci e pugni l’investitore ricoprendolo di insulti. I fatti di Reggio, come tanti altri, vengono derubricati a rissa nelpost partita di un sabato di calcio. Ma sono qualcosa di più. Sono una nuova pagina di un libro bianco, in realtà nerissimo, che dalle piazze fisiche a quelle virtuali dei social si alimenta di una rabbia e di un odio crescenti. Giorni dopo, in città, spuntano infatti manifesti firmati “White boys Reggio” con scritto “Fuck baby gang”: invitano i reggiani a «difendere la propria città» e ad aderire al gruppo.
Il 16 febbraio scorso gli ultrà del Padova, di rientro dal derby di Vicenza, arrivano in stazione. Ci sono gruppi di giovani maranza in zona. Qualcuno di loro lancia dei sassolini. In pochi istanti circa duecento ultrà biancoscudati si riversano all’esterno della stazione: parte una carica ed è fuggi fuggi. La polizia fa scudo. Gli inseguimenti continuano verso il cavalcavia di Bognomagno: due passanti feriti. Sono dinamiche e vicende viste anche in altre città. Milano, Monza, Torino, Brescia, Treviso, Udine, Verona, Bologna, Modena, Cesena, tra le altre. A Brescia (gruppo “Brescia ai bresciani”) e Torino le curve forniscono manovalanza alle cosiddette “ronde per la sicurezza” ad alto tasso provocatorio. Anche qui, tra stazioni e parchi, nel mirino ci sono i maranza nordafricani. Alle risse e ai pestaggi non seguono mai denunce. «La miccia — dice Lamberto Ciabatti, autore del libro “Ultras”, appena uscito per SEM Feltrinelli, che dà voce ai capi storici delle tifoserie italiane — è quasi sempre la provocazione dei maranza agli ultrà. L’aspetto interessante è che il fenomeno maranza è molto più radicato al Nord e quasi inesistente al Sud, dove forse c’è una maggiore integrazione sociale di immigrati di seconda generazione».
A proposito di Nord e Sud. Negli ultimi giorni ha creato allarme l’appello lanciato da “don Alì”, capo-maranza- influencer di Torino, per un’invasione “punitiva” dei maranza al Sud il 1 marzo. Con il pretesto della partita Napoli-Inter. «Scendiamo e facciamo un macello», ha ringhiato su TikTok “don Alì” che da anni scaglia provocazioni poi rilanciate dai suoi 500mila follower. «Saliamo sui Frecciarossa senza biglietto », è l’appello della challenge di “don Alì”. Immediata la risposta dagli account degli ultrà, da Napoli a Palermo a Reggio Calabria: «Fate il biglietto di sola andata». Una contesa rimasta su TikTok, fortunatamente.
Al netto delle sfide in rete, poi ci sono i fatti. La rivalità ha un punto di caduta preciso. Estate 2023, Peschiera del Garda. Dopo il megaraduno dell’anno prima – con atti vandalici e scontri con la polizia – centinaia di maranza arrivati in treno si danno appuntamento per un tuffo collettivo al lido Campanello. Piomba un gruppo di ultrà di estrema destra dell’Hellas Verona che aveva annunciato spedizioni punitive per difendere la località gardesana. Prima gli insulti razzisti («scimmie di merda»), poi giù botte. Sono le stesse frange di teppisti che nel 2022 in corso Porta Nuova a Verona avevano preso a calci e pugni i tifosi marocchini che festeggiavano la vittoria del Marocco sulla Spagna ai Mondiali.
Da allora, il fenomeno non si è fermato, anzi. Lo scorso ottobre, dopo il derby Modena-Sassuolo, gli ultrà modenesi hanno assaltato dei maranza che uscivano dal centro commerciale “I Petali”: solito copione, insulti, cori razzisti, ed è scoppiato il caos, con le due fazioni che si sono affrontate lanciandosi pietre e bottiglie. «I social fanno da cassa di risonanza – osserva ancora Ciabatti e da propagatore. Soffiano sul fuoco e alimentano la rivalità. Difficile prevedere se questo conflitto, che è anche molto generazionale vista l’età dei protagonisti, avrà un’escalation e diventerà un’emergenza sociale metropolitana, o se rimarrà più confinato nella bolla social».