di Stefano Stefanini
Il tempo stringe per l’Ucraina. Martedì inizia il negoziato bilaterale con gli americani a Riad sul piano di pace Usa – che poi dovrà essere accettato dalla Russia. Gli ucraini sanno cosa vogliono. Sanno cosa vogliono i russi. Sanno di avere l’appoggio europeo, ma a corto di urgenti munizioni. Non sanno quali siano le intenzioni americane. Si sono visti repentinamente tagliare aiuti militari e intelligence. Adesso Elon Musk minaccia di staccare i satelliti.
Volodymir Zelensky professa pubblicamente fiducia in Washington, dicendosi convinto che l’incontro in Arabia Saudita sarà «produttivo» e ribadendo che tutto sarà fatto perché tenga conto degli interessi ucraini. Ma sicuramente gli risuonano ancora in mente le parole di Trump nel terribile incontro dell’Ufficio Ovale: se Putin vi offre un cessate il fuoco, dovete accontentarvi di quello che vi offre, non avete carte da giocare. Senza troppe illusioni, il presidente ucraino deve sperare che il piano americano mantenga il minimo necessario per gli interessi ucraini. In cambio la delegazione americana porterà a casa l’accordo per lo sfruttamento dei minerali rari, non firmato nella disastrosa visita di Washington. Zelensky stesso non partecipa al negoziato con gli americani, a livello ministri degli Esteri. Si reca però a Riad per incontrare Mohammed bin Salman – sarà così su piazza nel momento della scelta esistenziale fra mettere fine alla guerra alle condizioni che gli americani ritengono indispensabili per accontentare Putin o continuarla senza il sostegno americano.
Sul «piano di pace» da negoziare a Riad pesa una doppia incognita: che sia accettabile all’Ucraina; che sia poi accettato dalla Russia. Per Kiev, parlarne prima con gli americani è già un grosso passo avanti rispetto alla prospettiva del fatto compiuto di un «deal» russo-americano sull’Ucraina già confezionato. Così gli ucraini hanno una voce in capitolo preventiva che inizialmente gli era negata. Rimane il rischio che alle concessioni che faranno adesso agli americani i russi ne aggiungano altre. Il «tener conto degli interessi dell’Ucraina» anticipato da Zelensky significa tracciare subito le linee rosse.
Quali sono? A questo punto della guerra, non tanto il territorio ma assolutamente l’indipendenza. Il nodo delle garanzie internazionali che scatenò il diverbio della Casa Bianca sta tutto lì: le garanzie internazionali servono ad assicurare l’indipendenza. Ma per essere credibili devono essere accompagnate da una presenza militare sul terreno. I russi vogliono forse più territorio – l’appetito vien mangiando – ma, soprattutto, un’Ucraina politicamente sottomessa, militarmente debole, sicuramente non nella Nato e probabilmente neanche nell’Unione europea – la crisi di Maidan del 2014 fu innescata dall’accordo di associazione con l’Ue. Cioè un’Ucraina non realmente indipendente. Questo il motivo per cui Sergei Lavrov ha prontamente respinto l’idea di «peacekeeper» europei in Ucraina.
Sullo sfondo di questa netta contrapposizione, ci sono tre corse contro il tempo: degli europei «volenterosi» a rendere credibile il loro appoggio all’Ucraina – se falliamo nel sostenere l’indipendenza di Kiev, l’Europa della difesa nasce traballante; dei russi, a suon di droni e missili contro civili, a piegare la volontà ucraina di resistere; degli americani a far pressioni su Kiev per fargli accettare quello che proporranno. Donald Trump dice, senza darne prova, che la Russia è pronta alla pace mentre l’Ucraina deve dimostrare di volerla. Con Mosca accenna a far voce grossa, ventilando sanzioni, ma poi invece blocca le misure G7 contro le navi fantasma che esportano illegalmente petrolio russo.
Il ritiro degli aiuti militari esercita già un’enorme pressione su Kiev. Vi si aggiunge ora la voce Elon Musk. Entra in campo da imprenditore, proprietario di Starlink da cui dipendono le comunicazioni ucraine, ricordando che se stacca la spina ai satelliti, il fronte ucraino collassa. Il portafoglio Doge di Musk non include la politica estera ma non saranno le bazzecole istituzionali a condizionare l’uomo più ricco del mondo. Solo Donald Trump può mettergli la museruola. Per ora non lo fa. Pur antagonizzando il resto del gabinetto trumpiano Musk continua ad avere carta bianca. Salvo eventualmente fermarlo – dopo aver agitato le acque. In questo caso dopo aver lanciato l’avvertimento. A metterci una pezza ci ha pensato Marco Rubio. Dopo un’immediata levata di scudi polacca, il segretario di Stato ha assicurato che il servizio Starlink continua. Ma senza smentire Musk: verissimo, ha detto Rubio, il servizio dipende da noi per cui ci dovete ringraziate. Tutto per X, canale preferito della diplomazia trumpiana.