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L’assemblea del 16 giugno non sarà una semplice riunione societaria: sarà il redde rationem per Mediobanca. Dietro la facciata di un’operazione industriale – la fusione con Banca Generali – si consuma una battaglia per il controllo di uno dei centri di potere più rilevanti del capitalismo italiano. E le manovre, da settimane, si moltiplicano.
Chi spinge per l’operazione – il management di Piazzetta Cuccia e una parte della finanza internazionale – la presenta come una mossa strategica, moderna, vantaggiosa per gli azionisti. Il mercato, in effetti, ha premiato il titolo Mediobanca. Ma c’è chi non ci sta. Francesco Gaetano Caltagirone ha alzato la posta, portando la sua partecipazione al 10%. Chiede trasparenza, chiede tempo. Ma soprattutto, chiede potere.
Nel frattempo, si muove silenzioso il mondo delle casse previdenziali. Enpam (medici), Enasarco (commercianti), Cassa Forense (avvocati) – investitori teoricamente prudenti e legati alla tutela del risparmio – hanno rastrellato azioni Mediobanca a prezzi alti. In apparenza una scelta finanziaria. In realtà, un posizionamento politico. Molti iscritti, infatti, protestano: “I nostri soldi usati per fare giochi di potere? Perché?”, scrivono ai vertici. Ma i vertici tacciono o si giustificano parlando di “strategie di lungo periodo”. Intanto, tra chi predica la prudenza e chi pratica il risiko, la distanza è abissale.
Dietro l’apparente confronto tra due modelli industriali, si nasconde una lotta tra visioni del potere: una Mediobanca alleata con Generali, oppure una Mediobanca assorbita nella strategia del Monte dei Paschi, banco pubblico, ancora controllato dal Tesoro. Siena osserva con interesse, consapevole che per Mps l’operazione sarebbe una rivincita storica. L’a.d. Lovaglio assicura che non c’è guerra, solo concorrenza. Ma le mosse parlano da sole.
E poi c’è Delfin, la cassaforte della famiglia Del Vecchio. Possiede quasi il 20% e resta alla finestra. Basterà un suo cenno per spostare gli equilibri. Tutti la corteggiano, tutti aspettano. Il rischio? Che l’assemblea venga usata per contare le truppe, non per decidere sul merito di un’operazione complessa.
Nel frattempo, in parallelo, esplode l’ennesima vicenda giudiziaria legata al Monte dei Paschi. I vecchi vertici – Profumo, Viola, Tononi – rinviati a giudizio per le operazioni sui crediti deteriorati. La banca, oggi, minimizza. Ma la memoria collettiva è corta, e certi nomi evocano ancora ombre pesanti.
Insomma, più che una scelta strategica, quella del 16 giugno rischia di essere la riedizione del solito copione italiano: pochi uomini, molto potere, interessi incrociati e scarsa trasparenza. Gli azionisti dovranno decidere: visione industriale o regolamento di conti?