«Non guardavamo i sondaggi quando ci davano al 5%, non li guardiamo neppure adesso» dice Giuseppe Conte ai suoi mentre attraversa la sua Puglia. Eppure i sondaggi sono lì: raccontano di un Movimento 5 Stelle in ripresa: ha scavalcato la Lega e continua a insidiare da sinistra l’elettorato del Partito democratico. «I cittadini riconoscono le nostre battaglie politiche, la nostra coerenza, la nostra forza – spiega Conte nel mezzo del tour elettorale – Adesso non ci sono più e bugie e quel clamore mediatico che ha distorto completamente la nostra immagine politica e ha frainteso in buonafede o alterato in malafede le nostre battaglie politiche. Ora è il momento della verità».

TUTTAVIA nessuno può escludere che una parte dell’elettorato dem o genericamente di centrosinistra per punire Enrico Letta per la rottura del «fronte progressista» con i 5 Stelle possa alla fine dare un segnale scegliendo proprio Conte. L’avvocato sa bene che ha vincolato la sua leadership nel M5S proprio alla missione strategica di un’alleanza col Pd e alla collocazione del nuovo corso dentro la cornice del centrosinistra. Questa collocazione rischiava di diventare una trappola, di triturare la sua credibilità presso i suoi, man mano che l’intesa coi dem andava sfarinandosi. E allora ha ricalibrato i toni, sostenendo che qualsiasi ipotesi di fronte progressista andasse misurata sui temi più che sulle dichiarazioni di principio. Su questa base, Conte può giustificare la permanenza dei 5 Stelle in maggioranza coi dem in Regione Lazio oppure al Comune di Napoli. Ieri ha rassicurato anche sulla solidità dell’accordo con Michele Emiliano in Puglia. «Continueremo a mantenere l’impegno per realizzare l’interesse e il miglior benessere dei pugliesi» dice Conte. Ma la tensione con il Pd non può che crescere, anche in vista del voto siciliano: tra due settimane il tour elettorale del leader M5S arriverà sull’isola dove l’accordo è saltato dopo le primarie. E dove il M5S deve ancora una volta far passare il messaggio sta divulgando da giorni: bisogna disarticolare lo schema bipolare che sta anche alla base della campagna di Letta («O noi o Meloni»). «Letta vuole costruire un inganno per i cittadini – sostiene Conte – volendo bipolarizzare questa partita politica e facendo credere che l’unico da votare in alternativa alle ricette insostenibili e inadeguate della destra della Meloni sia lui con il Pd».

«NON SIAMO di sinistra, ma abbiamo dei temi che portiamo avanti con coerenza», avvertono dal M5S per mantenere la collocazione trasversale che condusse al boom elettorale delle scorse legislature. Per dimostrarlo Conte dice di non volere una patrimoniale e annuncia di voler creare uno «Statuto delle imprese» (in singolare parallelismo con quello dei lavoratori). Ma è un fatto che nel corso degli ultimi cinque anni il M5S abbia cambiato ragione sociale. Prima, in nome dell’anti-Casta, puntava a far saltare il nesso della rappresentanza. Archiviate, per impraticabilità di fatto più che per convinzione ideologica, le teorie sulla democrazia digitale e il superamento del Parlamento, il M5S punta tutto sul rafforzamento del welfare, rivendicando l’introduzione del reddito di cittadinanza e promettendo battersi per il salario minimo. È sulla base di queste proposte che Conte si è piazzato alla sinistra del Pd, soprattutto nei settori sociali del Mezzogiorno che si sentono abbandonati nel mezzo della crisi.

AD UN CERTO punto di questa campagna elettorale spunterà anche Beppe Grillo. Sarà il momento della difesa delle origini. Ieri i canali ufficiali del M5S hanno scongelato persino l’ex ministro (non candidato dopo due mandati) Danilo Toninelli. Dallo staff di Conte dicono che l’obiettivo è strappare consensi all’astensionismo: è li, sostengono citando i sondaggi, che rischia di finire il grosso del voto ai 5 Stelle del 2018. Ed è a quel bacino che vogliono attingere per continuare la risalita. Proprio questo doppio passo, sospeso tra il recupero identitario e la valorizzazione dell’anima sociale, sarà l’acrobazia elettorale dei prossimi giorni.