ALESSANDRO BARBERA
Volendo scomodare il cliché cinematografico, l’ultima mossa di Andrea Orcel somiglia al momento dello stallo alla messicana. Quando ieri Unicredit ha confermato le voci che gli attribuivano l’acquisto sottoforma di derivati di almeno il quattro per cento delle Generali, nessuno ha creduto alla versione ufficiale: «A pure financial investment». Un banchiere fra quelli disposti a rispondere al telefono di domenica, si fa una risata sotto la garanzia dell’anonimato: «Basta guardare la curva del titolo delle Generali degli ultimi sei mesi: oggi ha superato i trenta euro. Per essere un puro investimento deve averlo pagato piuttosto caro». Nel mondo della finanza e della politica c’è la convinzione diffusa che Orcel abbia rastrellato per una legittima ma inconfessabile ragione: avere fra le mani la carta giusta per trattare su altri tavoli. Marco Osnato, presidente della commissione Finanze della Camera per Fratelli d’Italia e fra i pontieri della premier negli ambienti milanesi lo dice apertamente: «Quella di Orcel è stata una mossa molto intelligente. Resta da capire quale sia l’obiettivo finale».
Come è noto Orcel in agenda di obiettivi ne ha due. Il primo, in Europa: la scalata alla rivale Commerzbank, la cui proposta di acquisto ha unito contro buona parte dell’arco costituzionale tedesco. Il secondo, in Italia: la fusione con Banco Bpm, contro la quale le resistenze sono meno insuperabili, e riguardano soprattutto la Lega di Salvini, che considera l’istituto milanese una sorta di presidio territoriale da sottrarre alle grinfie del concorrente nei cui uffici si parla troppo inglese. «Il pacchetto di Generali è la moneta di scambio per non ostacolare Caltagirone e i Del Vecchio nella fusione Mediobanca-Monte dei Paschi», dice un secondo banchiere. Da tempo a Palazzo Chigi e Tesoro si sostiene apertamente la nascita di un terzo polo tricolore attorno a quel che resta in mano allo Stato di Mps. A lungo sull’asse Fratelli d’Italia-Lega si era accarezzata l’ipotesi di mandarla a nozze con Banco Bpm, ma alla prova dei fatti i primi a non credere fino in fondo all’operazione sono stati i vertici di quest’ultima. «Castagna (Giuseppe, numero uno del gruppo, ndr) non ha colto l’attimo, Matteo Salvini non ha capito cosa stava accadendo e ora se ne vedono le conseguenze». I malevoli sostengono sia stata decisiva la preoccupazione di Castagna di perdere la poltrona di numero uno, i benevoli della difficoltà di unire i soci. Sia come sia, nel frattempo il manager scelto da Mario Draghi per Mps – Luigi Lovaglio – ha preso in mano l’iniziativa con l’idea di scalare il salotto buono della finanza milanese, unendo alla sua altre due fortissime ambizioni: quella di Francesco Milleri – inteprete del sogno di una vita dello scomparso Leonardo del Vecchio – e di Francesco Gaetano Caltagirone, che considera l’operazione Mps-Mediobanca il primo passo verso la conquista del boccone più grande di tutti: il controllo delle Assicurazioni Generali.
Difficile dire se in questa partita Orcel giochi la parte del buono, del brutto o del cattivo. Di certo nessuno più di lui ora ha l’interesse ad infilarsi nella disfida dalla quale dipende la sopravvivenza degli equilibri che governano Mediobanca e le Generali. La storia professionale dei due vorrebbe che Orcel si schierasse dalla parte dello status quo e di Alberto Nagel, banchiere dal respiro europeo con casa a Londra e fautore dell’autonomia della banca d’affari dalla politica. E però in finanza come in politica non ci sono mai amici e nemici, solo compagni di strada o avversari. Racconta un terzo protagonista della vicenda: «Se Caltagirone e Milleri riusciranno a convincere gli azionisti, non si può escludere che Orcel si schieri dalla loro parte». Il film è solo agli inizi, e i comprimari moltissimi, a partire dai soci di Mediobanca, due più di altri: la famiglia Berlusconi, azionista attraverso Mediolanum, e il fondo Blackrock, che ha davanti a sé l’imperdibile occasione di dare una mano al governo di uno dei più grandi emittenti di debito del pianeta, incidentalmente uno dei migliori alleati in Europa di Donald Trump. Insomma, gli equilibri in gioco sono molto più grandi dei «puri investimenti» citati da Orcel. Così grandi che uno dei banchieri interpellati fa una previsione: «Questa partita, fra offerte e controfferte, passivity rule e parti correlate è così complessa che farà ricchi anzitutto gli avvocati. Vedrà che a un certo punto a difesa di Nagel si paleserà da Oltralpe un nuovo protagonista a cavallo». E sempre che nel frattempo a dissuaderlo non sia già bastato il sostegno della premier alla cordata tricolore.