La discussione ospitata da questo giornale è una delle poche occasioni per discutere in modo essenziale della crisi della sinistra senza limitarsi a dibattiti su correnti e leader improbabili. Vi sono tante questioni da approfondire, a partire da quella più urgente: se e quale sia il contenuto politico che permette a un partito di sinistra di essere al passo coi tempi. Infatti, tutti siamo d’accordo sull’idea che la crisi della sinistra sia una crisi profonda.

Tutti, a parte buona parte della classe dirigente del Pd. Sarà per questo che, piuttosto che occuparmi di ciò che ho appena indicato come la questione più urgente, vorrei segnalare un problema del tutto empirico che non può essere ignorato. Proprio quello della classe dirigente.

La convinzione che la fusione a freddo tra eredi del Pci e della Dc non abbia funzionato è oggi prevalente. Ma per la verità a me pare che quella fusione sia l’unica cosa che abbia funzionato: oggi Rosy Bindi è molto più a sinistra di Piero Fassino (esemplare la sua recente intervista sul Corriere); Stefano Bonaccini ha una storia tutta interna alla sinistra. Sono solo due dei tanti esempi che si possono fare al riguardo. Non possiamo dunque liquidare la crisi attuale come prodotta dal fatto che le due tradizioni politiche non si siano amalgamate. Ritengo anzi, per essere chiari, che tale conciliazione sia un processo oggi ancor più necessario.

L’IDENTITÀ DEL PD E L’ECCEZIONE BERLUSCONI

L’atto di nascita del Pd non è stato segnato dall’enfatizzazione della memoria storica delle sue anime ma da un eccesso di attaccamento al tempo presente: l’unico elemento identitario che ha condizionato la nascita di quel partito è stata “l’eccezione Berlusconi”.

Questo discrimine è anche il motivo per cui non si può interpretare la crisi di quel partito sottolineandone esclusivamente la continuità con le socialdemocrazie europee. Per motivi del tutto legittimi all’epoca, il Pd ha finito con l’essere il punto di riferimento di tutti coloro che avversavano Berlusconi.

Proprio per tutti, è stato questo il problema. Approfittando del fatto che proprio quella fosse l’unica condizione politica per far parte del Pd, dentro quel partito si è prima rifugiata e poi ha prevalso una intera classe dirigente ultraliberista e di destra tenuta insieme dal collante antiberlusconiano. Che non c’entra nulla né con la tradizione democratico cristiana né con quella socialista. Berlusconi ha rappresentato un’anomalia tale da porre sotto sequestro anche quella destra sconcertata dai conflitti d’interesse, dalla sfrontata vittoria di nani e ballerine, dal non fare prigionieri di un gruppo di potere che non lasciava spazi per nessun altro.

LA RISPOSTA A NANI E BALLERINE

Foto Cecilia Fabiano/LaPresse 28-10-2022 Roma, Italia - Politica - Direzione del Partito Democratico - Nella Foto : il tavolo dei relatori October 28 , 2022 Rome, Italy - Politics - Democratic Party steering committee - In the photo: the realtors desk
Foto Cecilia Fabiano/LaPresse 28-10-2022 Roma, Italia – Politica – Direzione del Partito Democratico – Nella Foto : il tavolo dei relatori October 28 , 2022 Rome, Italy – Politics – Democratic Party steering committee – In the photo: the realtors desk

Questi altri gruppi di potere hanno infine trovato un luogo politico dove riorganizzarsi. E infatti oggi quel partito è, sia a livello territoriale sia a livello nazionale, niente più che lo specchio di piccole oligarchie che hanno idee ultra liberiste e che si fanno la lotta solo per godere di residue nicchie di potere. Che ammirano il berlusconismo, se non fosse stato per Berlusconi. Nessuno ha chiesto loro come la pensassero del mondo, se intendessero la propria vocazione politica come un compito di rappresentanza di classi sociali più in difficoltà.

Inutile sottolineare che in questo modo si è contribuito anche a misconoscere la gravità reale dell’attacco berlusconiano: riducendo il tutto a Berlusconi e non al berlusconismo. Così il Pd è diventato un partito aderente al berlusconismo (cioè neoliberista e orientato dagli interessi delle classi più abbienti) a condizione di essere contro Berlusconi (come ha dimostrato il disorientamento fondativo di Walter Veltroni, che l’ha costretto a essere un “partito berlusconiano senza Berlusconi”).

Si capisce il motivo per cui Matteo Renzi abbia letteralmente sconquassato il partito: da segretario ne ha svelato la contraddizione, provando a liberarlo persino dall’ultimo limite identitario che aveva (con buona pace dei suoi cantori lacaniani che non hanno davvero capito nulla): se siamo neoliberisti e di destra, perché non dovremmo provare simpatia per Berlusconi? L’unico merito che posso riconoscere a Renzi è proprio di aver mostrato al Pd la verità su se stesso.

IL DIBATTITO SULLA SINISTRA NON È SUL PD

La provocazione secondo cui non c’è altra soluzione che sciogliere il Pd credo vada intesa in questa direzione: possiamo discutere quanto vogliamo sul destino politico delle sinistre, ma buona parte della classe dirigente attuale resterà sorda, dal momento che non c’entra nulla col destino della sinistra. A ciò si aggiunge il rischio che il pur necessario anti-melonismo faccia lo stesso effetto dell’anti-berlusconismo: serva a coprire per ulteriore tempo le mancanze strutturali a sinistra. In attesa di capire se vi sia altro modo per risolvere questa contraddizione al di là dello scioglimento, accontentiamoci di intravvedere un segnale positivo. L’egemonia culturale – l’unica che gli era rimasta a dire il vero – secondo cui ogni discorso sul futuro della sinistra dovesse essere necessariamente inteso come un discorso sul Pd sembra essere definitivamente superata.

Anche grazie al ricollocamento del M5S – e al di là dello scetticismo che è lecito mantenere nei suoi confronti – finalmente la discussione su cosa debba essere la sinistra è più ampia e complessa di quella su quale sia il destino del Pd. Pochi sono ancora pronti a scommettere che il Pd sarà un partito di sinistra, mentre molti siamo pronti a sostenere che sia sempre più necessario che vi sia una rappresentanza chiaramente di sinistra.

Esserci liberati da questo intreccio mortifero mi pare un guadagno per tutti. Per noi che possiamo finalmente discutere di cose serie senza limitarci alla messa in scena di finti duelli tra candidati segretari. Ma forse anche per il Pd, che non potendo più contare su quest’egemonia sarà costretto a fare i conti con l’evidenza per cui un partito non è uno spazio conteso da incontenibili bande di classi dirigenti, ma un luogo costituzionalmente garantito dove cosa si voglia essere è molto più importante di chi c’è a comandare.