Dopo il voto degli emendamenti in Commissione Giustizia della Camera alla proposta di legge che vuole dichiarare la gestazione per altri reato universale, il femminismo italiano continua a mantenere una fisionomia dissonante sul tema. Non da ieri, e neppure si tratta di occasionale interesse verso un argomento come quello della Gpa che ha acceso, anche in Italia, almeno dal 2015, un serrato confronto/scontro, dedicato e plurale con esiti inconciliabili. Concerne infatti i corpi, la sessualità, le relazioni, e ancora il mercato e i contesti materiali e di sfruttamento diversi; ciò per dire che nel femminismo (non solo italiano) l’intransigenza con cui si affronta il tema non è solo per il punto riproduttivo; in senso più generale si discute di vite, di storie. Convegni, incontri pubblici e libri si sono susseguiti anche nel nostro Paese, da quando si è avvertita l’urgenza di una riflessione che in altri Stati è incandescente già da decenni.

Tra i volumi disponibili se ne possono citare forse almeno due: Gestazione per altri. Pensieri che aiutano a trovare il proprio pensiero, a cura di Morena Piccoli con contributi di Annarosa Buttarelli, Federica De Cordova, Cristina Faccincani, Helena Janeczek, Luisa Muraro, Silvia Niccolai e altre, edito da Vanda nel 2017. Un altro è quello di Serena Marchi, Mio tuo suo loro. Donne che partoriscono per altri, edito da Fandango sempre nel 2017. Per dare conto di ulteriori pareri divergenti, basterebbe indicare tre recentissimi documenti, due appelli e una lettera aperta, quest’ultima inviata alla segretaria del Pd Elly Schlein (favorevole alla Gpa). Diffusa il 12 aprile, nasce da donne «di varie età e con diverse storie politiche» che sono in relazione nella rete «Dichiariamo» (circa cento, tra cui attiviste della Libreria delle donne di Milano – sul sito della Libreria è disponibile il testo completo -, di Arcilesbica, dell’Udi e altri collettivi e soggettività da anni impegnate nel movimento delle donne in Italia) in cui si legge: «siamo femministe, quindi non ammettiamo un contratto che implica la rinuncia di una donna al controllo sul proprio corpo». E infine si rivolgono a Schlein: «non lasciare questo tema alla destra, che lo distorce per piegarlo a un progetto di riaffermazione della famiglia tradizionale istituzionalizzata e obbligatoria, e non lasciare che la sinistra diventi complice di nuove forme di sfruttamento dell’umano». Nonostante si chieda di esprimere una contrarietà «da sinistra», non si menziona l’abolizione universale, questa una delle ragioni per cui le RadFem come «Rete per l’Inviolabilità del Corpo Femminile» non si sono unite alla iniziativa.

Una parte altrettanto consistente del femminismo, il 17 aprile, sceglie di partire proprio dal posizionamento della lettera aperta per diffondere un appello (firmato da circa duecento donne, a vario titolo attive anche qui da anni, per esempio Lea Melandri, Chiara Saraceno, Giorgia Serughetti e altre): «come femministe vogliamo invece continuare a discutere sulla gestazione per altri, ascoltando, riflettendo, promuovendo confronti liberi sulle domande che la complessità del tema pone a tutte noi. A partire per esempio da una discussione sulla maternità, sul corpo materno, sulle possibilità delle biotecnologie ma anche sui loro limiti, sugli effetti nell’immaginario e nel simbolico dell’identità femminile determinati dalla separazione tra gravidanza e maternità. Parliamone e ascoltiamoci quindi, femministe di ieri e femministe di oggi». Arriviamo a due giorni fa, quando è comparso un appello-petizione sul sito di change.org promosso dalla «Rete NOGPA» – coordinata da Aurelio Mancuso – che l’ha diretta a Camera e Senato e a cui hanno aderito (fino a ieri) oltre 800 nomi per dire che: «Sono già attive a livello internazionale reti ed alleanze che chiedono la messa al bando della maternità surrogata, queste azioni devono essere sostenute dagli Stati, a partire da quelli che con chiarezza vietano la maternità surrogata».
E se l’intenzione non parte da una riflessione esclusivamente tra donne, è in questa confluenza di intenti che tra i firmatari – tutti figurano i nomi di femministe come Alessandra Bocchetti, Adriana Cavarero, Olivia Guaraldo e altre.
La discussione politica, etica e adesso giuridica, sulla Gpa resta aperta.