Di progetti culturali di massa ce ne sono stati solo due, nell’intera storia repubblicana, a mezzo televisivo. Il primo è nel segno di Ettore Bernabei, dal 1961 direttore generale della Rai democristiana che inventò la tv di Stato costituzionale. La stampa di destra lo considerava quasi un cripto-comunista.

Nel 1964 Indro Montanelli in una inchiesta sul Corriere della Sera (“Il teleschermo avvelenato”) lo accusò di «faziosità politica» per i programmi sulla Resistenza e pure per le inquadrature: «Quando è in scena Togliatti viene fuori un imperatore romano, Scelba invece sembra un questurino». Intervenne la Radio Vaticana per difendere Bernabei nel «clima di generosa e travagliata collaborazione» tra i cattolici e socialisti, il primo centrosinistra.

Il secondo progetto porta il nome di Angelo Guglielmi con la sua Raitre nel 1987, voluta, va detto, dall’allora poco più che trentenne uomo comunicazione del Pci Walter Veltroni, che aveva il servizio pubblico nel dna familiare. Nulla a che vedere con l’attuale Raitre, ma quando a destra parlano di egemonia culturale da smantellare pensano ancora a quella stagione, fuori tempo massimo perché finita da tempo.

L’EGEMONIA LOGORA

I due progetti erano grandiosi sul piano culturale, ma si tramutarono in sconfitte epocali, in politica. Il lungo regno di Bernabei alla Rai si concluse con il sì degli italiani al divorzio nel referendum del 1974, Pasolini scrisse che la tv della Dc aveva scristianizzato il paese. La Raitre di Guglielmi mostrò le tele-piazze, che però nel 1994 non sospinsero la sinistra, vinse Berlusconi.

Si chiama eterogenesi dei fini. La destra che va all’attacco delle istituzioni culturali e della Rai farebbe bene a ricordare questi precedenti. La dimostrazione che l’egemonia logora chi ce l’ha.

LA CULTURA MANCATA

Ma per la sinistra la lezione è molto più amara e rimossa. Da anni la sinistra ha smesso di fare cultura, ha occupato posti sulla base di uno schieramento spesso geografico: bastava stare sul fronte opposto a Berlusconi e tanto bastava per evitare un pensiero critico su mercato, lavoro, uguaglianza, coesione sociale, diritti e doveri, ingiustizia. Prevalevano, invece, conformismo, pigrizia, adeguamento alle mode, subalternità culturale, appagamento, nessun tentativo non dico di cambiare, ma almeno di conoscere la realtà. Apparati al posto delle idee, gruppi editoriali in disarmo, ritornelli, banalità, vanità. Un guscio vuoto.

Ora la destra va all’assalto di quel guscio vuoto con l’obiettivo inconfessabile non di cambiarlo, ma di ereditarlo. Sarà l’habitat naturale perché in comune c’è l’assenza di un pensiero. La sinistra aveva i posti, senza fare più cultura, ora dovrà riprendere a fare cultura, senza avere più i posti. Sarà difficile, ma c’è una società pronta a esprimersi. Soltanto a vederla (arrivare).