Dopo i colpi da ko ricevuti sulla legge di Bilancio, Matteo Salvini ha preferito parlare di nuovo codice della strada, del terzo mandato da consentire ai sindaci, della centrale nucleare «che a Milano sarebbe un vanto», almeno secondo il suo giudizio. Nella lista degli argomenti toccati, il giorno dopo la diffusione delle bozze della manovra, c’è stato l’immancabile ponte sullo Stretto, la sua nuova bandiera politica. Tutto, insomma, pur di non sfiorare la parola pensioni.

Salvini si è dimostrato come sempre prolifico di dichiarazioni su tutto lo scibile politico delle ultime settimane, durante la sua partecipazione all’assemblea Anci a Genova. Il ministro ha manifestato la palese «perplessità» sulla nomina di Giuliano Amato alla presidenza della commissione algoritmi sull’intelligenza artificiale, trovandosi d’accordo con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e ha rilanciato la sua riforma del codice appalti.

Dall’armamentario di dichiarazioni del segretario della Lega è comunque sparita la madre di tutte – le sue – battaglie: la riforma delle pensioni contro «l’infame» (come l’ha sempre definita) legge Fornero, che va ad accompagnare la flat tax nel capitolo “promesse abbandonate”.

FORNERO RAFFORZATA

Salvini ha costruito mezza carriera con la battaglia sul sistema previdenziale, promettendo mari e monti. Ora deve ingoiare la quota 104, firmata dal governo Meloni di cui è vice, che inasprisce le precedenti regole ed è più severa della stessa legge Fornero. E dire che fino a qualche anno fa, con il governo Conte, quota 100 era vissuta come una diminutio rispetto alle sue ambizioni.

«A ripristinare la versione ‘dura’ della legge Fornero ci hanno pensato Meloni e Salvini, i due politici che in questi anni sono passati dal 4 al 30 per cento, giurando solennemente che una volta al governo avrebbero abolito la legge Fornero», ha osservato il deputato di Italia viva, Luigi Marattin.

L’inserimento dei disincentivi non è un dettaglio, perché rendono il testo effettivamente una Fornero strong: chi andrà in pensione alla maturazione dei requisiti (63 anni più 31 di contributi), dovrà fare i conti con delle penalizzazioni, ossia un ricalcolo della quota contributiva.

La propaganda salviniana di “quota 41” si è infranto contro il muro della realtà. Nella manovra c’è piu l’adeguamento delle speranze di vita, anticipato di due anni. E che non vanno di certo nella direzione auspicata dalla Lega. Nell’inner circle salviniano si tende a minimizzare: «Era tutto già noto». Ma i malumori ci sono.

Salvini vive con fastidio un’altra dinamica: ha dovuto bere l’amaro calice direttamente dalle mani del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che è vicesegretario del suo partito. Poco conta, però ai fini pratici: il Mef non fa sconti. Lo stesso Giorgetti, di recente, ha lanciato l’avviso ai naviganti: «Con questi tassi di natalità il sistema pensionistico non regge».

Non proprio la premessa per arrivare a quota 41 entro la fine della legislatura. Dalla Lega provano a minimizzare. «Salvini e Giorgetti erano insieme alla conferenza stampa di presentazione della manovra, più unità di così», è il ragionamento. E in effetti il leader leghista era gongolante a Palazzo Chigi per aver ottenuto lo strapuntino del finanziamento del ponte, immaginandosi come il vero vincitore della manovra. Il ministro, invece, era soddisfatto per aver ottenuto dal segretario del suo partito il via libera alla strategia «emendamenti zero» in parlamento.

Un’idea che il numero uno del Mef aveva accarezzato da settimane. Ma i due dioscuri della Lega hanno condiviso solo i titoli. Scorrendo la bozza della legge di Bilancio qualcosa è andato storto.

FUORI PROVINCIA

E le pensioni sono il colpo più duro inferto alla propaganda di Salvini, quello più visibile. Nel provvedimento spiccano altre note dolenti. Una tra queste è il taglio di risorse riservato alle province. Salvini ha promesso più volte di rimetterle in carreggiata.

Ancora mercoledì ha ribadito: «È sbagliato procrastinare la reintroduzione delle province, bisogna avere il coraggio di portare avanti anche le battaglie meno popolari». Ed è un’iniziativa condotta dall’inizio della legislatura, tanto che al Senato è stato incardinato il disegno di legge per ripristinarle pienamente dopo il ridimensionamento realizzato dalla riforma Delrio. Buoni propositi, insomma.

I fatti dicono, ancora una volta, altro: la manovra ha messo in conto un taglio di 50 milioni di euro per città metropolitane e province. Una «incoerenza» che il presidente dell’Upi, Maurizio De Pascale, ha voluto sottolineare.

«Fare cassa sui territori non potrà che aggiungere nuove tensioni a quelle che già si fanno sentire nel Paese e avrà pesanti ripercussioni sui servizi ai cittadini», ha aggiunto De Pascale. Insomma: conta poco la reintroduzione del voto per l’elezione dei presidenti se poi gli enti non vengono sostenuti da un adeguato trasferimento delle risorse.

A chiudere il triplete di amarezze per Salvini c’è la questione affitti brevi, quelli inferiori a 30 giorni. I rincari sulla cedolare secca, dal 21 al 26 per cento, non sono un segnale di apertura al mercato di “libertà” dei cittadini, come ama ripetere il leader della Lega.

«La proprietà privata è sacra, ognuno deve essere libero di decidere come mettere a reddito il proprio immobile», ha sostenuto poche settimane fa, quando era in corso il dibattito sul disegno di legge preparato appositamente dalla ministra del Turismo, Daniela Santanchè.

Prima ancora che il testo venga esaminato dal parlamento, il governo ha indicato già la direzione. Ed è opposta a quella del ministro delle Infrastrutture. Perciò meglio pensare ad altro. Anche perché dal Paese reale arrivano solo notizie preoccupanti

. L’Istat ha certificato nel 2022 un aumento della povertà assoluta con 2 milioni e 180mila famiglie (+8,3 per cento rispetto all’anno precedente) che vivono in questa condizione. In termini numerici sono oltre 5 milioni e mezzo di persone, che pagano il prezzo più alto all’inflazione.