Migranti ma non solo. Anzi è proprio un mix di questioni migratorie ed economiche il centro del vertice di ieri a Roma tra Giorgia Meloni e Olaf Scholz che guardano entrambi, seppure con motivazioni differenti, a quanto accade sull’altra sponda del Mediterraneo. E se la premier italiana è attenta soprattutto ai flussi migratori e cerca alleati in vista del vertice europeo di fine mese che si annuncia complicato per Roma, il cancelliere mira alle forniture di idrogeno: potrebbero arrivare in Germania attraverso la pipeline South H2 che prende avvio in Algeria, in cui l’Italia ha un ruolo nevralgico.

Imprescindibile per la svolta energetica voluta dalla Coalizione Semaforo, il «Corridoio H2 Sud» tra Nord Africa ed Europa che fa gola alla tedesca Allianz Capital Partners. Obiettivo: trasportare dall’Algeria alla Baviera almeno 1,7 mega tonnellate di idrogeno entro il 2030.

AL CONTRARIO delle divergenze sui migranti, Roma e Berlino lavorano da mesi in perfetta armonia per definire il patto politico-industriale che legherà i due Paesi per il prossimo decennio. Non sono più “solo” le imprese del Nord Italia legate a doppio filo alla filiera del made in Germany precipitato in recessione, ma il vero e proprio asse messo in piedi come reazione alla guerra in Ucraina, nonostante l’«allergia per la Germania» della premier italiana.

Inizia con il mega-business di Rheinmetall, leader dei costruttori bellici con sede a Düsseldorf, che punta a trasformare la fabbrica della sussidiaria Rwm in Sardegna nella fucina delle munizioni Nato; finisce con ciò che la stampa tedesca definisce «l’asso nella manica della premier postfascista»: l’esportazione dell’idrogeno verde dal Nord Africa «a cui Scholz non può dire di no».
Soluzione perfetta per coprire il deficit di energia della Germania innescato dall’embargo a Gazprom e dal sabotaggio del Nordstream. Ma è anche il risultato che serve a Scholz per fermare il boom nei sondaggi di Afd i cui slogan sono, appunto, «meno stranieri ed energia a basso costo come prima della guerra».

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L’Europa si è persa tra un muro e la forestaQuasi nulla può, invece, la realpolitik di Meloni e Scholz sulla riscrittura del Patto di Stabilità Ue. Chi tiene i cordoni della borsa a Berlino è sempre e solo il ministro delle Finanze, Christian Lindner, leader dei liberali, da sempre poco incline a trattare con gli Stati del Sud al di là del colore politico. A meno che non si tratti di atlantismo: a riguardo «la Germania non lascerà sola l’Italia»: la partnership sui sottomarini e i sistemi di difesa aerea anti-drone “Skynex” attualmente operativi in Ucraina sono garantiti senza se e senza ma.

SUL DOSSIER MIGRANTI tra i due leader non sono mancati punti di convergenza anche se restano le differenze. Scholz ha riconosciuto gli sforzi dell’Italia nella gestione degli sbarchi e convenuto che non si può lasciare Roma da sola ad affrontare l’emergenza. Ma ha anche ricordato riferendosi forse proprio all’Italia, come «scaricare i problemi sugli altri e puntare l’indice è una strategia destinata a fallire». Ribadendo la necessità di maggiori controlli che limitino i movimenti secondari, gli spostamenti di quanti, dopo essere sbarcati, si dirigono verso il Nord Europa.

«Nonostante la Germania non abbia frontiere esterne dell’Ue l’anno scorso abbiamo accolto un milione di ucraini e 240 mila migranti da altri Paesi, di cui l’80% non registrati» ha ricordato il cancelliere. Prima della replica della premier: «Il tema dei movimenti secondari si gestisce gestendo i movimenti primari. Il punto è difendere i confini, combattere la tratta, coinvolgere i Paesi d’origine con cooperazione seria, investimenti e difendendo il diritto a non dover migrare». Tutti punti sui quali Scholz si è detto d’accordo, a partire dalla necessità di lavorare insieme per evitare l’ulteriore aggravarsi della crisi in Tunisia, paese dove Meloni volerà, per la seconda volta in pochi giorni, domenica prossima con la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen.