Nick Thorpe torna in Italia per un evento nell’ambito del festival Testo di Firenze, il 23 febbraio alle 14. Il reporter politico della Bbc e scrittore presenta il suo libro Il Danubio. Un viaggio controcorrente dal Mar Nero alla foresta nera. Il giornalista ha scelto Budapest come patria d’adozione, ma il grande fiume europeo ha ispirato il suo lavoro da divulgatore in più occasioni. «Mi fa tornare la fede nell’umanità e nella sua capacità di superare i confini» spiega a Domani.

Cosa rappresenta il Danubio per lei?
Sono cresciuto sulla costa inglese e sono sempre vissuto nelle vicinanze del mare. Quando mi sono trasferito in Ungheria avevo 26 anni ne ho subito sentito la mancanza, ma il Danubio e il Lago Balaton sono diventati per me una sorta di sostituto. Il fiume per altro si snoda in tanti dei paesi in cui mi sono trovato a lavorare, Romania, Bulgaria, Serbia e Croazia. Dopo il mio ultimo libro, che aveva un’anima più politica, ero in cerca di un nuovo soggetto e mi è venuto in mente il Danubio, anche se inizialmente ero convinto di non essere in grado, perché nonostante siano tanti anni che vivo qui non è ancora il mio fiume. Poi però ho pensato che avrei potuto provare a essere coraggioso e occuparmi di tutto il fiume in maniera organica, non della piccola parte che attraverso ogni giorno, anche perché l’ho incontrato in tante occasioni durante il mio lavoro, per esempio a Novisad, in Serbia, dopo i bombardamenti.

E per il continente europeo?
Il Danubio non è il fiume europeo più lungo ma attraversa nove paesi europei e attinge alle acque di almeno diciannove. La mia consapevolezza del ruolo del Danubio nel continente europeo è cresciuta continuamente durante il mio lavoro: non ero pienamente a conoscenza di gran parte di tutto questo ma quando te ne occupi a fondo impari come un fiume così grande influenzi anche la terraferma. Di recente ho anche realizzato una serie di documentari per la tv, quindi ho avuto il privilegio di risalire il fiume addirittura due volte.

Perché è importante il concetto di percorrerlo controcorrente?
È un po’ la cifra della mia vita. Mi sento controcorrente quando faccio il giornalista e devo chiedere conto a politici e governi, o parlare alle persone di cose difficili nelle loro vite. Il concetto di controcorrente riguarda anche il conflitto e i problemi, oppure le crisi: ormai mi sento a mio agio in quella situazione, quindi inserire quel simbolismo è stato importante per me. Ma percorrendo quel tragitto ho anche realizzato che è la più comune direzione di viaggio dalla prospettiva dell’Europa orientale.

Parliamo dell’emigrazione?
Da giornalista e scrittore mi sono sempre interessato di migrazioni e alla fine sono diventato una sorta di migrante io stesso. Sono venuto a vivere in Europa orientale quando la maggior parte degli europei dell’est si sposta a ovest. Ho sempre grande simpatia per chi si sposta e per chi vive lontano dal proprio paese d’origine pur mantenendo un rapporto d’affetto come capita a me con il Regno Unito, dove continuo a sentirmi a casa.

Cosa si può trovare risalendo il fiume?
Sembrava la direzione giusta per comprendere meglio la parte perduta dell’Europa. Ho l’impressione che la divisione tra est e ovest in Europa non sia venuta meno con l’eliminazione della cortina di ferro, anche se in apparenza i paesi dell’est sono diventati più simili a noi. Vorrei approfondire il grande divario che resta da un nuovo punto di vista che i lettori in diversi paesi possano ritenere interessante.

Che tipo di umanità ha incontrato nel suo viaggio?
Una delle ragioni per cui adoro l’Europa dell’est è l’ospitalità, la gentilezza di base nei confronti dei forestieri. Nel mio viaggio ho cercato di non porre limiti a quel che volevano raccontarmi le persone che ho conosciuto chiedendo aiuto a un interprete, perché il mio obiettivo era quello di “interrompere” le persone in quello che stavano facendo per farmi raccontare la loro vita. In occidente, quando si pensa all’est Europa c’è una certa contraddizione: lettori e spettatori che consumano media occidentali pensano che sia un posto retrogrado dove le guerre sono più frequenti e dove miseria e povertà sono più diffuse che in Europa occidentale, ma anche che sia un luogo con un fascino esotico, come tutto quello che è un po’ sconosciuto. Poi però conosco tantissimi europei dell’ovest che sono venuti e si sono innamorati di questi paesi.

Qual è l’incontro che l’ha colpita di più?
Un mio amico inglese ha contato tutte le persone che nel libro mi hanno offerto qualcosa da bere e la lista è veramente infinita, ma la verità è che il libro riguarda tutti coloro che mi hanno donato una parte del loro tempo, come quando mi sono trovato in compagnia di un pastore ungherese in un giorno caldissimo. Eravamo solo noi con le nostre bottigliette d’acqua in mezzo alle pecore, eppure si è fermato per offrimi una sigaretta, era impressionato dal mio obiettivo di risalire tutto il fiume e mi ha raccontato di quando ha percorso centinaia di chilometri per fare colpo su una ragazza di cui era innamorato.

Ha scoperto qualcosa che ancora non sapeva del Danubio? 
Non conosci un fiume se non ci cresci accanto oppure lo frequenti a lungo. Ho provato a insistere sul cliché del Danubio blu, considerato che il fiume non è assolutamente blu, chiedendo alle persone che incontravo di che colore immaginassero il fiume quando non lo vedevano. E così ho scoperto un numero immenso di colori, suoni, sentimenti e personalità del fiume. Adesso che ho finito libro e documentario quando vado a trovarlo è come se mi rivolgessi a un amico, una sensazione che prima d’ora avevo vissuto solo nei confronti del mare che bagna il paese in cui sono cresciuto. In maniera più pragmatica, ho scoperto tutti gli scavi archeologici che fiancheggiano il Danubio, che non è mai stato solo una frontiera, quanto un passaggio aperto tra le civilizzazioni che abitavano i due argini, come per quanto riguarda i Romani e i “barbari”.

Viviamo in un momento storico in cui i confini sono tornati rilevanti. Il suo viaggio non dimostra che il concetto di frontiera non è più e forse non è mai stato rilevante?
Essendo un reporter politico sono ovviamente interessato agli stati e nelle relazioni che intercorrono tra loro e sicuramente la storia europea è una storia di conflitti. Ma dopo essermi occupato del Danubio in maniera umana ed ecologica ho sviluppato una visione molto più ottimistica dell’Ungheria e delle persone. Ho anche realizzato che è soltanto la politica, e a volte la religione, a mettere in contrapposizione tra di loro i popoli. Il fiume mostra come i popoli sono in grado di superare i confini che li dividono e di rendersi conto di quante cose hanno in comune.

Com’è cambiata l’Ungheria da quando si è trasferito a oggi?
Una volta nei paesi dell’est Europa la società si divideva tra chi era nel partito e chi non lo era. C’era un forte senso di sfiducia nei confronti dello stato che in Europa occidentale non esiste e direi che è un sentimento sano. Lo stato non è percepito come benevolo, ma come l’entità che tassa i cittadini, impone leggi, decide cosa si può coltivare e cosa no. Se veniamo a oggi, vedo un’eco di tutto questo nelle proteste in tutto il continente dei contadini, che si sentono lasciati fuori dalla rivoluzione tecnologica che ha investito le grandi città.

In che termini? 
Nessuno chiede la loro opinione e a volte le proteste sconfinano nel nazionalismo, ma mi sembra che la questione sia più grande di un dibattito politico. Sembrano tutti casi isolati, ma se si considera il quadro generale arriviamo a porci domande sul futuro dell’Europa nel suo complesso e nello specifico sul finanziamento delle sue campagne. Mi piacerebbe che il mio libro contribuisse al dibattito su che tipo di ambiente desideriamo avere intorno a noi nel nostro futuro.

Anche durante le ultime proteste, però, i sovranisti hanno cercato di intestarsi le battaglie degli agricoltori. Che paralleli vede tra il governo di Giorgia Meloni e quello di Viktor Orbán?
L’immigrazione dall’Europa orientale è forse stata l’argomentazione principale a sostegno della Brexit, ed è un argomento che anche Viktor Orbán ha sfruttato appieno. Orbán ha usato questo tema per rafforzarsi e farsi rieleggere fin dal 2015 e Giorgia Meloni ha usato argomentazioni simili in Italia. Credo che oggi i numeri dei migranti che passano nei due paesi siano molto diversi, ma sicuramente i due si sono trovati sulla migrazione, anche se si sono poi persi sul sostegno all’Ucraina. Orbán vuole restarne fuori, senza sostenere Kiev militarmente ed esitando anche sugli aiuti economici, non ha quel senso di solidarietà europea che invece mi pare di capire ci sia in Meloni.

I due tornano invece sulla stessa lunghezza d’onda sulla demografia: l’ultima volta che Meloni ha visitato l’Ungheria l’anno scorso ha lodato le iniziative di Orbán per incoraggiare giovani coppie a fare figli. Sono d’accordo con altri partiti di estrema destra anche sull’Europa: non vogliono lasciarla come ha fatto il Regno Unito, ma vogliono disegnare il futuro del continente basandosi sull’idea dell’Europa delle nazioni e sulla sovranità nazionale. Un contesto che però, come abbiamo scoperto nel XIX e XX secolo, porta a un sospetto reciproco che è in aperta contraddizione con l’idea di una grande casa comune europea.


Nick Thorpe, giornalista e scrittore, nato a Upnor nel 1960, presenterà Il Danubio. Un viaggio controcorrente dal Mar Nero alla Foresta nera il 23 febbraio a Testo Firenze. Il libro (pp 392), tradotto dall’inglese da Giulia Marich, Ivan Pagliaro e Roberto Cattano è stato pubblicato per Keller Editore. Thorpe vive a Budapest dal 1986. Dopo aver lavorato per Indipendent e Guardian dal 1996 è corrispondente dall’Europa centrale per la Bbc