«Basta TeleMeloni, basta con un servizio pubblico svilito a portavoce della propaganda di questo governo. E basta attacchi al giornalismo di inchiesta». Elly Schlein parla al megafono dalla panchina del parchetto davanti al cancello di Viale Mazzini, sbarrato e solitario, i dirigenti sono in trasferta a Sanremo. Ma al «presidio» per il pluralismo nella tv pubblica c’è un esercito di telecamere, e anche un plotoncino di militanti.

E un drappello di parlamentari – Zingaretti, Misiani, Zan, Orfini, Braga, Sensi, Verducci, fra gli altri – i deputati devono battere presto in ritirata perché alla Camera si vota il decreto Ucraina.

Però la controprogrammazione a Sanremo lanciata dal Pd riesce. La segretaria aveva lanciato l’iniziativa in solitaria, ma alla fine su quella panchina prima di lei salgono Elena Boschi di Italia viva («non siamo d’accordo su tutto, ma appena abbiamo saputo di questa iniziativa abbiamo detto sì»), Riccardo Magi di +Europa, il rossoverde Nicola Fratoianni.

Ma anche Sigfrido Ranucci, giornalista di Report, bersaglio della destra al governo e Beppe Giulietti, presidente di Art.21 (da Berlusconi a Meloni le cose sono peggiorate, dice, «l’editto ungherese è peggiore dell’editto bulgaro»).

Sandro Ruotolo, ex giornalista Rai, dirige questa specie di Hyde Park Corner. «Anche nei momenti peggiori, la Rai era di tutti», dice. I momenti “peggiori”, non lo dice ma lo fa capire, erano quando governava il centrosinistra. Schlein lo ammette: «Dobbiamo tutti fare un po’ di autocritica». Ma ora è il momento di unire le forze: «La governance va riformata e la Rai va resa indipendente dai partiti.

Ci lavoreremo insieme in parlamento». Poi elenca le testate nel mirino della destra: Report, Repubblica, Il Fatto, Domani.

APPUNTAMENTO AL BUIO

L’appuntamento è al buio, alle 18 e 30 è già notte, nel parco le uniche luci sono quelle delle telecamere. Ed è partito con la defezione di Giuseppe Conte, che sulla tv pubblica ha un’intesa cordiale con il governo, a suon di direzioni in quota, dunque si è sfilato accusando il Pd di ipocrisia per le sue lottizzazioni precedenti.

Anche Carlo Calenda non è venuto: ha dato dell’infantile a Schlein («io i sit-in li facevo a 14 anni»). Ma alla fine l’idea ha funzionato. Lo si capisce anche da chi ne cerca il «traino». Prima di iniziare si avvicina Marco Rizzo (ultima sigla percepita è una roba rossobruna “Democrazia sovrana popolare”) e manda avanti un giovanotto a urlare accuse all’indirizzo del Pd. Un sereno «buffone, buffone, vai da Alemanno» lo allontana.

Dall’altro lato della boscaglia si sono riuniti anche quelli dell’UniRai, il sindacato meloniano. Sono 24, sono lì non «contro qualcuno», in realtà contro «i politici, tra l’altro onnipresenti in video, che pretendono di decidere scalette, sommari e titoli dei telegiornali».

Insomma, contro il Pd che se l’è presa con il Tg1. La cui scaletta però è spesso tratta dai desiderata di Fratelli d’Italia, quotidianamente riportati nella mail Ore 11, praticamente un mattinale distribuito ai parlamentari. Tratta, va detto, neanche tanto liberamente. La manifestazione del Pd e compagni regalerà anche a loro una riga nelle cronache.

IL CONTRO-SANREMO

Anche il giorno prima, lunedì sera, la segretaria aveva scelto la prima serata del Festival di Sanremo per «bucare» i media con una programmazione. Scelta in salita. E così mentre Amadeus raccoglieva nella prima parte 15.075mila spettatori (share del 64.34 per cento) e nella seconda parte 6.527mila spettatori (66,85 di share), su La7 Giovanni Floris trasformava il suo programma Dimartedì in una specie di una riunione di caminetto Pd. Prima Stefano Bonaccini, poi lei stessa collegata da Strasburgo e Pier Luigi Bersani in studio.

Ai punti di share ovviamente non c’è match. Floris difende le sue posizioni, ma risente della concorrenza delle canzoni: 947mila spettatori pari al 4,43 per cento di Auditel, Amadeus viene visto 15 volte di più.

Non c’è partita: mentre su La7 parla la segretaria dem, all’Ariston campeggia il fantasma di Toto Cutugno, l’«italiano vero» a cui viene dedicato un omaggio canoro. Cantano Loredana Bertè e Alessandra Amoroso: «Da un grattacielo/Durante il volo/Piano dopo piano/Mi ripeto/Fino a qui tutto bene». Una canzone che sembra parlare del Pd, che però è sintonizzato su un altro canale.

Al presidio non c’è l’Usigrai, né la Federazione della stampa. Non sono ostili, anche loro chiedono una riforma Rai ma, spiegano in mattinata, il problema del pluralismo nel servizio pubblico «non si risolve con i sit-in, ma in parlamento».

Per la segretaria Fnsi, Alessandra Costante, «il Media Freedom Act chiede all’Italia di dare alla Rai una governance che indipendente e con finanziamenti certi. La Rai ha bisogno di autonomia e indipendenza, ce lo chiede l’Europa, che ci chiede altresì che vengano garantiti il diritto di cronaca e una paga dignitosa a chi fa il giornalista. Tutto il resto è invenzione di chi vuole restringere il diritto di cronaca».

Ruotolo coglie il senso e risponde: «Il presidio di oggi per noi è un primo passo. Siamo contro TeleMeloni e non siamo i soli a esserlo. Anche il sindacato europeo dei giornalisti considera l’Italia come uno dei paesi ostili al giornalismo».