Le manganellate agli studenti arrivano in un clima nel quale la preparazione mediatica all’eventualità di una guerra ormai è conclamata. Le prossime cariche saranno giustificate dallo stato di pre-allerta bellico.

È giusto indignarsi per le manganellate di Pisa, ma sarebbe bene che ci ricordassimo tutti quanti che negli ultimi anni la politica dell’ordine pubblico, indipendentemente da chi faceva il ministro dell’Interno, Angelino Alfano o Marco Minniti, Matteo Salvini o Luciana Lamorgese, ha seguito la prassi d’impiegare forze di polizia totalmente sproporzionate all’entità dei manifestanti, con misure di limitazione della libertà altrettanto sproporzionate alla gravità dei reati commessi (quando di reati si trattava).

Fogli di via per uno striscione attaccato a un edificio pubblico, arresti domiciliari per uno spintone a un poliziotto, fedine penali sporcate per una scritta con bomboletta di vernice su una saracinesca. Complici giunte di sinistra, a Milano, a Bologna, in altre città. Nell’indifferenza e nel silenzio generale. Con un palese intento d’infierire soprattutto sui giovanissimi, per insegnare loro a non essere liberi, secondo la regola «ri-educarli sin da piccoli», propria di tutte le dittature del Novecento.

La cosa che mi fa tristezza, nell’ascoltare i racconti di quelli che dieci anni fa erano ragazzi, studenti del primo/secondo anno, diciamo della generazione dell’Onda, è sentirmi dire che in certi Atenei i loro docenti facevano finta di niente: due, tre al massimo su migliaia di cattedratici, di associati, aprivano bocca per protestare, quando la polizia entrava all’università e picchiava.

Per me è trahison des clercs, un tradimento che mi fa guardare con un po’ di sollievo quando oggi accanto ai giovani manganellati – e ad altri che occupano scuole in solidarietà col popolo palestinese – vedo schierarsi anche alcuni loro insegnanti. L’insegnamento è una missione altissima e devi capire, devi stare vicino a quelli che sono affidati a te, anche se sono in minoranza. Anzi soprattutto se sono in minoranza, un insegnante non può tollerare che qualcuno insegni ai suoi studenti a non essere liberi. Perché di questo si tratta: stroncare l’istinto di libertà, stroncare la voglia di pensare diversamente, cioè di pensare.

A questo avrebbero dovuto servire i manganelli di Pisa, mica a impedire ai manifestanti di raggiungere un consolato o chissà quale obbiettivo «sensibile».

Il cosiddetto «ordine pubblico» è l’ultimo dei pensieri di quella trafila di comando che va dal ministero ai prefetti all’ultimo degli agenti. Educare all’ordine, all’obbedienza passiva, questo è l’ordine di servizio. Per giustificare le cariche, sulla stampa del giorno dopo, basta scrivere che in mezzo ai manifestanti ci sono «individui provenienti dai centri sociali», sottolineando magari che hanno qualche anno più della media e sarebbero dunque professionisti del disordine.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

Dai decreti ai manganelli, il filo neroNon mi sembra che sia cambiato molto da Genova 2001 a Pisa 2024, se non per due circostanze.

La prima: l’impunità con cui esponenti politici, parlamentari e giornalisti di quella banda hanno sputato sul presidente della Repubblica, la normalità con cui un funzionario in divisa ha potuto dichiarare «Mattarella non è il mio presidente», cioè la facilità con cui oggi ci si può togliere la maschera e far vedere la propria faccia eversiva.

La seconda, molto più grave: che tutto questo avviene in un clima nel quale la preparazione mediatica all’eventualità di una guerra ormai è conclamata.

Le parole dell’ammiraglio Bob Bauer, una delle massime cariche militari della Nato, nel presentare il 18 gennaio alla stampa le manovre militari in corso nel Mediterraneo e nel Baltico come «le più importanti degli ultimi decenni» sono state esplicite (le traggo da Volerelaluna): «Per molti decenni abbiamo avuto questa idea dell’esercito professionale che avrebbe risolto tutti i problemi di sicurezza ma per una difesa collettiva gli apparati militari attuali non sono più sufficienti, tu hai bisogno di più gente che sostenga gli eserciti È l’intera società che deve sentirsi coinvolta, che le piaccia o no».

Aspettiamoci dunque di vedere la nostra “classe dirigente“ cambiare guardaroba, dismettere tailleurs e gessati e indossare la mimetica.

Poi, se si dovesse andare in guerra, saranno i primi a imboscarsi. A combattere, c’è da scommettere, faranno andare come al solito i giovani come quelli presi a botte. Penso che le prossime cariche della polizia non saranno più giustificate tirando in ballo i «centri sociali». Ci diranno che siamo in stato di pre-allerta.

Dunque la pace che chiediamo non è solo per la Palestina, è per noi.