Tetragona a ogni motivata critica arrivata di volta in volta dalla Cgil, dalle associazioni dei consumatori, dai movimenti per l’acqua pubblica che vedono una volta di più tradito il referendum del 2011, dalle forze politiche di sinistra e “progressiste” (vedi M5s), e anche da alcune piccole amministrazioni comunali, l’accoppiata Pd-Iv dà il via libera alla fusione delle società che gestiscono il servizio idrico, i rifiuti e la vendita e distribuzione di gas e luce, per costituire una multiutility da quotare per giunta in borsa.
L’operazione di concentrazione e quotazione delle azioni delle società partecipate da 66 comuni della Toscana centrale, benedetta dal presidente regionale Giani e portata avanti dai sindaci dem Nardella (Firenze), Biffoni (Prato) e Barnini (Empoli), con l’ok anche del sindaco pistoiese Tomasi di Fdi, è stata salutata in ogni consiglio comunale interessato dalle proteste di piazza dei movimenti per l’acqua, e dall’opposizione delle forze di sinistra e pentastellate.
“Non ci potrà essere alcun tentativo di creare aggregazioni private per prendere il controllo – ha detto un soddisfatto Nardella dopo il voto fiorentino di ieri – inoltre il ricorso alla borsa non intaccherà il principio di fondo che il 51% della società rimarrà in mano ai Comuni soci e quindi alle nostre comunità”. Neppure l’esito della spa mista pubblico (51%) privata (49%) del gas Toscana Energia, finita nelle mani dei privati di Italgas dopo che alcuni comuni destroleghisti hanno fatto cassa vendendo le loro quote, ha intaccato la fascinazione del Pd per la privatizzazione e finanziarizzazione dei servizi pubblici.
I piccoli comuni di Vaglia e di Calenzano si sono opposti. In quest’ultimo caso il consiglio comunale ha fatto appello ai sindaci degli altri territori di interrompere l’iter procedurale, e avviare “un confronto reale che parta da un bilancio serio sugli effetti del modello misto pubblico-privato sperimentato in questi anni, ripensando il progetto di aggregazione dei servizi e dei soggetti gestori pubblici, per dare vita ad un nuovo modello di impresa pubblica”. Ma le percentuali diverse di partecipazione alla multiutility, sulla base della dimensione dei singoli municipi, rendono la Firenze di Nardella (e Renzi) inattacabile nella sua posizione di capofila.
“Nelle regioni dove trent’anni fa sono nate le multiutility – rileva Si Toscana – il potere dei Comuni è sparito, e il gigantismo non ha prodotto efficienza, vicinanza ai territori e ai bisogni dei cittadini, economicità e qualità dei servizi”. “Mentre non si capisce come liquidare i privati che ancora ci sono in alcune delle controllate, e certo non lo si farà con la quotazione in borsa – osserva a sua volta Rifondazione – le valutazioni di redistribuzione delle azioni fra nuova società e vecchie sono fatte con un metodo, il cosiddetto concambio di cassa, che esalta solo la ricerca del profitto”.
Saranno le regole del codice civile per le società quotate a determinare la gestione, e gli amministratori saranno nominati dal cda della multiutility, senza l’obbligo di consultare i soci pubblici. Mentre i sindaci, che devono tutelare e rappresentare le esigenze dei propri cittadini, saranno azionisti di una società che dovrà fare utili per rispondere alle regole della borsa. “Eppure esistono altri strumenti per trovare risorse, fare investimenti e liquidare gli attuali soci privati delle società – chiude il segretario Cgil Maurizio Brotini – come hanno fatto in Veneto si possono emettere obbligazioni, green bond, coinvolgendo i piccoli risparmiatori”.