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La moglie del giornalista australiano: «Sogno noi due in campeggio con i figli»
di Marta Serafini
Alle spalle, mentre parla, ha i disegni dei bambini, Gabriel e Max, 7 e 5 anni, nati dalla sua relazione con uno degli uomini più controversi al mondo, Julian Assange, rinchiuso ormai da 5 anni in un carcere di massima sicurezza britannico. Stella Moris, sudafricana di nascita, passaporto svedese e spagnolo, da suo ex avvocato — i due si sono conosciuti e innamorati quando lui era rinchiuso nell’ambasciata ecuadoriana a Londra — oggi è in prima linea nella campagna per la liberazione del marito. Attesa a Milano, dove domenica sarà speaker al Wired Next Fest, accetta un’intervista esclusiva con il Corriere via Zoom.
Il 20 maggio l’Alta Corte britannica ha concesso a suo marito di far ricorso contro la richiesta di estradizione Usa, evitando così che venga processato in un Paese dove rischia 175 anni di carcere. Una buona notizia per voi. Quali sono le condizioni di salute di Assange?
«L’ho visto ieri mattina (lo scorso mercoledì, ndr). Ero preoccupata perché era stato malato tutta la settimana. Prima dell’udienza non ha dormito per notti intere. Poi, dopo il verdetto, il suo sistema immunitario è crollato. È felice del risultato ovviamente».
Quali sono i prossimi passaggi e quali sono le differenze rispetto a prima?
«Aspettiamo la data della prossima udienza, prima della pausa estiva. Ora in caso di sconfitta avremmo possibilità di fare ricorso alla Corte Suprema britannica, e questo è un bene. Ma ciò significa che ci aspettano mesi, se non anni, di ulteriori contenziosi qui nel Regno Unito, a meno che gli Stati Uniti ritirino le accuse. Come argomentazioni ormai restano in piedi quelle relative alla libertà di stampa: gli Usa affermano che, essendo Assange cittadino australiano accusato sulla base dell’Espionage Act, non ha diritto alla protezione del primo emendamento. Ed ecco perché questa è una battaglia che riguarda tutta la stampa».
Nella prossima fase vedremo Assange in Aula?
«Il viaggio stesso dalla prigione di Belmarsh al tribunale è molto stressante. Deve alzarsi all’alba e sopportare perquisizioni multiple, comprese quelle corporali. Poi viene chiuso in un furgone di massima sicurezza, una bara verticale con i finestrini oscurati, dove è isolato dagli altri prigionieri».
Recentemente il «Wall Street Journal» ha scritto che esiste un accordo di patteggiamento tra Assange e il governo statunitense. Il vostro team legale ha smentito. Eppure, l’amministrazione Biden non sembra avere interesse a mettere sul tavolo un caso così divisivo prima delle elezioni…
Il nodo dell’estradizione
L’amministrazione Biden non è aggressiva come quella Trump, sappiamo che vogliono una soluzione
«Dalle dichiarazioni pubbliche ma anche da contatti informali, capiamo come l’amministrazione Biden non sia così aggressiva come quella Trump. E sappiamo anche che alla Casa Bianca ci sono persone che vogliono trovare una soluzione. Come moglie, madre dei suoi figli e membro della sua famiglia posso dire che vogliamo solo che Julian sia libero e dunque che Biden ritiri il caso. E sarebbe nell’interesse di tutti, se Biden si comportasse in modo diverso da Trump, perché la libertà di stampa ci riguarda tutti».
Una soluzione potrebbe venire dall’Australia?
«Sì, il premier australiano laburista Anthony Albanese (in carica dal 2022, ndr) ha fatto del caso una priorità. Anche l’opinione pubblica australiana si è espressa a favore di Julian. E se consideriamo Assange un prigioniero politico, allora è essenziale che il suo Paese lo sostenga».
Cosa farete il primo giorno, nel caso in cui lo liberassero. Ne avete mai parlato?
«Ci immagino tranquilli in una stanza, seduti, abbracciati coi bambini che corrono intorno, a prenderci del tempo. Da molti anni abbiamo per noi solo mezz’ora per volta in cui possiamo solo tenerci per mano mentre ci viene detto cosa possiamo fare e cosa no. Ai nostri figli prometto che Julian tornerà a casa. Il piccolo (Max, ndr) è ossessionato dall’idea di andare in campeggio con il padre. Quindi lo lascio libero di immaginare. Ma siamo in una situazione incerta».
Si è parlato di un piano per rapire/uccidere Assange. Crede che la sua famiglia possa essere al sicuro anche qualora dovesse tornare libero?
«Come tutto ciò che riguarda Julian, dipende dalla politica. Sappiamo che Mike Pompeo, all’epoca capo della Cia, chiese ai suoi agenti di elaborare un piano per un rapimento o un assassinio e che alla Casa Bianca si discusse dell’idea. Se Trump dovesse tornare al potere, e Pompeo con lui, beh … allora avrei paura».