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15 Marzo 2025«C’è una mutazione dei residenti Serve un risveglio delle coscienze»
Elena Granata (Politecnico e Sec): questo sistema di vendita degli spazi al miglior offerente è sbagliato, preoccupa il fatto che sia stato accolto con rassegnazione e cinismo
Milano
Icittadini non sono clienti ma proprietari della città. Serve un risveglio di coscienza: c’è stato dopo Tangentopoli, ma ora stenta a farsi strada. È un grido di dolore quello che arriva da Elena Granata, docente di Urbanistica del Politecnico, vicepresidente della Scuola di Economia sociale e del comitato scientifico delle Settimane sociali. Non tanto per le inchieste che hanno scoperchiato un sistema di permessi facili a costruttori spregiudicati, ma per la rassegnazione, anzi il cinismo, con cui la vicenda è stata accolta. Come se la città non fosse un’entità viva, una cosa di tutti, ma qualcosa da mettere all’asta al miglior offerente.
Professoressa Granata, questa nuova ondata di speculazione edilizia è iniziata con l’Expo?
In realtà negli ultimi dieci anni, dopo la fine dell’Expo che è stato un periodo di straordinaria vitalità per la città, con capacità di attrarre i capitali e buona amministrazione. Sono stati anni di grandi promesse di Milano all’Italia: se sei giovane, imprenditore e creativo puoi realizzare il tuo sogno. Negli ultimi dieci anni però il sogno è stato tradito: giovani, studenti, famiglie medie con i bambini sono stati tagliati fuori. Milano ha virato la sua politica cercando di massimizzare il profitto, snaturando la sua indole di città aperta ed inclusiva
Com’è stato possibile tirare su grattacieli o interi complessi in piccoli spazi e in così poco tempo?
Dal punto di vista pratico per poter attirare i capitali, lusingare gli investitori e rigenerare le parti usurate della città si sono costruite delle condizioni di vantaggio. Le grandi aree dismesse erano state già rigenerate prima dell’Expo, ed erano stati portati a compimento i progetti di Gae Aulenti e City life che erano già nell’ottica delle residenze di lusso. Rimanevano oltre agli scali ferroviari, piccoli spazi in aree intercluse, palazzine industriali, spazi limitrofi ai parchi in condizioni di degrado, ad esempio al parco della Cave. Aree più piccole sulle quali si è abbassata la soglia dei vincoli e si sono aumentate le condizioni di vantaggio per gli investitori. C’è stata una rottura grave dal punto di vista culturale: si è separata la dimensione pubblica dall’interesse privato che è prevalso.
L’idea era giusta, insomma, ma la situazione è sfuggita di mano?
Si è partiti da un principio corretto di rigenerazione degli spazi urbani ma queste condizioni di favore sono state totalmente fuori dal buon senso: non sono stati calcolati gli impatti ambientali e sociali, non sono stati
richiesti oneri di urbanizzazione adeguati. I cittadini hanno assistito increduli. Se mi costruiscono un grattacielo in cortile mi toglie luce servizi, verde, qualità della vita e valore immobiliare.
C’è poi la questione drammatica dei costi abitativi. Per chi sono state fatte queste case?
Più case si costruiscono di lusso o pseudo lusso più aumentano le diseguaglianze. Milano nel 2024 ha perso 50mila abitanti. Le famiglie vengono sostituite da coppie alto spendenti o da due colleghi che condividono lo stesso appartamento. C’è una vera e propria modificazione genetica dei residenti. La risposta non può essere continuare a costruire case.
La densificazione è un male assoluto o in qualche caso serviva?
Non c’è stata una visione unitaria. Bisognava dire questa zona può essere densificata e quest’altra no perché è già satura. Il privato proprietario di un’area in pratica è stato libero di fare ciò che voleva: una deregulation con effetti perversi ha spalmato la rendita immobiliare su tutto il Comune. Paradossalmente le aree di Loreto, via Padova e corso Lodi sono cresciute come costi più del centro. Milano è diventata cara in maniera quasi omogenea.
A questo punto c’è una speranza che i prezzi si abbassino?
Edilizia ed economia hanno sempre un andamento ciclico. Arriverà un momento in cui la bolla scoppierà, la qualità urbana che si perde densificando, perdendo servizi pubblici come i trasporti, impoverendo il verde è un asset economico che incide sul valore di mercato. Basta un attimo che gli investitori vadano altrove verso la Brianza, Bergamo e Brescia. Il lusso per il lusso ha tempi di vita molto brevi e Milano non è come Parigi.
Cosa si può fare per affrontare l’emergenza casa?
Possiamo guardare ad altri modelli, ad esempio Barcellona che sta limitando il fenomeno degli affitti brevi. A Milano ci sono 20mila airbnb, serve un maggior controllo e una restituzione del mercato dell’abitare. Chi ha un appartamento per prima cosa lo destina al turismo, in seconda battuta agli studenti che sono in tanti in un appartamento e quindi pagano di più. Nessuno lo dice ma affittare ad una famiglia con bambin è un tabù, sono diventate indesiderate.
Come sarà di una città senza famiglie?
Si disgregerà il welfare di comunità, a partire dai nonni che si prendono cura dei nipoti. Se non ci sono le famiglie che domandano beni pubblici, salute, verde, servizi allora si possono tagliare. Già intorno ai 50 anni le persone “mollano” e si trasferiscono altrove. C’è l’idea, sbagliata di un prezzo da pagare, in termini di qualità della vita scadente. Penso che Milano possa e debba essere la città del lavoro e del tempo libero, del traffico e dalla sosta, dell’ozio e del negozio.
A proposito di scali ferroviari, il villaggio Olimpico è quasi ultimato, è un esempio di riqualificazione positiva?
La mia domanda è che senso ha attirare capitali per lasciare ai nostri figli più brutta di prima? È un problema di poca ambizione: bellezza e funzionalità possono andare di pari passo. Gli edifici che diventeranno studentati sono brutti e cari. Gli studenti meritano molto di più di specie di carceri a mille euro a camera. Se Milano è attrattiva per i capitali immobiliari non lo è più per i talenti.
Anche gli studenti oltre alle famiglie sono in fuga?
I miei studenti del Politecnico sono cambiati: sono solo milanesi o provenienti da famiglie ricche. Gli altri, a parità di condizioni, vanno a Torino. Serve un moto di orgoglio, di gelosia, che non avverto. Non ho mai sentito dire che quelli che se ne vanno da Milano, “ce li siamo persi”. La politica non parla di queste persone. Milano si comporta come un ristoratore che non si preoccupa di perdere clienti, tanto sa che ne arriveranno altri. Ma i cittadini non sono clienti, sono persone con storie, radici, cognomi e dialetti.
Quali vie d’uscita si possono trovare per superare l’impasse legata alle inchieste?
I cantieri non ancora aperti vanno bloccati subito, per quelli realizzati si deve arrivare a degli accordi caso per caso, ad una forma di giustizia riparativa. Gli abusi vanno sanati per consentire a chi ha comprato casa di non perdere soldi. Quello che mi preoccupa non sono le inchieste o i singoli complessi. Mi preoccupa che è passata nella coscienza collettiva l’idea che così va il mondo, che lo sviluppo ha un prezzo da pagare, che non si sarebbe potuto fare diversamente. Questo cinismo legato ad uso privato della cosa pubblica, ci dovrebbe tenere svegli la notte, tutti. Dopo Tangentopoli c’è stato un risveglio morale, oggi manca un aspetto educativo, il mettere nero su bianco che queste cose sono sbagliate. La città è nostra non di chi la costruisce e la vende.