
CORRUZIONE E ABUSI “NORMALIZZATI”
15 Marzo 2025
E IL LOGOS SI FECE MISTICO
15 Marzo 2025ReArm Il piano della presidente Ue spacca partiti e coalizioni. La premier dovrà compattare la sua maggioranza. La segretaria dovrà stanare la minoranza interna
Romano Prodi ironizza su maggioranza e opposizione impegnate in una nobile gara a chi è più diviso sul riarmo europeo. In realtà le due principali leader della politica italiana, al momento, sono impegnate soprattutto nel cercare di evitare che quelle divisioni si trasformino in disastro conclamato la settimana prossima in Parlamento. La premier rischia di più: è già un miracolo tutto italiano che la spaccatura a Strasburgo non terremoti maggioranza e governo. Ma neppure la leggendaria faccia tosta della destra italiana basterebbe a evitare lo sconquasso se il fattaccio si ripetesse in casa.
A MONTECITORIO e palazzo Madama la maggioranza dovrà mostrarsi unita sul riarmo e al confronto quadrare il cerchio è un gioco da ragazzi. La premier dovrà camminare sulle uova, assicurare che l’Italia non parteciperà mai a missioni in Ucraina senza egida Onu, prendere di mira la pretesa anglo-francese di imporre la propria egemonia, garantire che l’aumento di spesa per le armi non inciderà su Sanità e Welfare, assicurare, negando l’evidenza, che il piano di Ursula non implica ostilità nei confronti di Trump. Ma probabilmente dovrà anche trovare una formula tale da non costituire impegno rigido, per consentire a Salvini di votare un mandato e non una scelta già definita a favore del ReArm.
Sono trucchi che nella politica italiana abbondano sempre ma tutto diventerà molto più difficile se il leghista terrà il punto nel pretendere contropartite concrete su altri tavoli: soprattutto, al grido di “Non c’è pace senza pace fiscale”, il semaforo verde sulla rottamazione di 10 milioni di cartelle che vuole incassare entro marzo, in tempo utile per essere sbandierata a inizio aprile nel congresso leghista.
Per Giorgia i guai proseguiranno subito dopo, nel Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimi. I principali Paesi europei hanno preso male il suo strappo con l’astensione nella risoluzione sull’Ucraina. Pressata da Salvini e ancor più da Giorgetti, che guarda alla cassa, dovrà insistere su diversi punti, a partire dalle modalità di finanziamento del riarmo. Col rischio di essere considerata pericolosamente vicina all’area degli intoccabili e infrequentabili dei quali non ci si può fidare, come Orbán e Marine Le Pen. Quelli da cui da due anni fa il possibile per smarcarsi e prendere siderali distanze. Non sarà una settimana leggera.
PER ELLY le cose sono più facili. Nessuno nel Pd vuole riproporre nel Parlamento italiano la clamorosa lacerazione registrata a Strasburgo: non lei e neppure la minoranza. Lunedì e martedì i gruppi parlamentari si riuniranno e cercheranno un testo comune che, data l’ottima volontà di tutti, sarà quasi certamente trovato. La mozione del governo è destinata a essere bocciata a priori e su quella più insidiosa del M5S correrà in soccorso il voto separato. Soprattutto al Senato, dove la minoranza è più forte, qualche voto in dissenso ci sarà ma non dovrebbe assumere proporzioni tali da configurare una spaccatura profonda come quella di Strasburgo.
È POLVERE sotto il tappeto. Qualsiasi parvenza di unità il Pd riesca a trovare la settimana prossima sarà posticcia. La minoranza, consapevole di non avere chances di vittoria, non ha alcuna intenzione di imbarcarsi in una sfida congressuale dalla quale uscirebbe in ginocchio. A impugnare la carta del congresso incautamente messa sul tavolo da Zanda è così proprio la segretaria ma neppure lei, nonostante le spinte dei pasdaran del suo gruppo ristretto, riunito ieri fino a tarda sera, sembra voler davvero arrivare a uno showdown definitivo. Chiede il «chiarimento» e minaccia di scegliere la strada dell’ordalia congressuale per domare la minoranza e impedire che si ripeta il fattaccio della settimana scorsa. Ma se andrà così sarà l’ennesimo falso movimento: i due Pd continueranno a essere tali fingendo di essere uniti e non ci vuole molto a immaginare come la minoranza (e non solo quella) abbia preso le parole di Conte: «Il no al riarmo di Schlein è la premessa per un progetto politico di governo di cui la politica estera sarà un pilastro». Lo si vedrà del resto già oggi a Roma, in piazza del Popolo: mezzo partito invocherà l’Europa intendo “Riarmo” l’altra metà esalterà l’Europa per dire “No al riarmo”.