“Gianni Minà ci ha lasciato dopo una breve malattia cardiaca. Non è stato mai lasciato solo, ed è stato circondato dall’amore della sua famiglia e dei suoi amici più cari”. Così, su Facebook, la famiglia ha annunciato la morte del giornalista.

Nato a Torino, Minà ha iniziato la carriera giornalistica nel 1959 a Tuttosport, di cui fu poi direttore dal 1996 al 1998. Nel 1960 ha esordito alla RAI come collaboratore dei servizi sportivi per le Olimpiadi di Roma.

Nella sua carriera ha seguito otto mondiali di calcio e sette olimpiadi, oltre a decine di campionati mondiali di pugilato, fra cui quelli storici dell’epoca di Muhammad Ali.

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Campione idealista e provocatorioUna volta entrato in RAI, nel 1976, inizia a raccontare l’America Latina con una serie di reportage che caratterizzeranno tutta la sua carriera.

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Quella sua marcia del rifiutoCome ricostruisce la biografia sul sito giannimina.it, mentre seguiva come cronista il campionato mondiale di calcio 1978, venne ammonito e poi espulso dall’Argentina per aver fatto domande sui desaparecidos al capitano di vascello Carlos Alberto Lacoste (capo dell’ente per l’organizzazione del mondiale) durante una conferenza stampa, e aver cercato poi di raccogliere informazioni.

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Hebe, così lottò una madreNel 1987 intervistò una prima volta per 16 ore il presidente cubano Fidel Castro, in un documentario dal quale è stato tratto un libro pubblicato in tutto il mondo. Da quello stesso incontro è stato tratto Fidel racconta il Che, un reportage nel quale il leader cubano per la prima e unica volta racconta l’epopea di Ernesto Guevara. L’intervista fu ripetuta nel 1990, dopo il tramonto del comunismo. I due incontri sono riuniti nel libro Fidel. Il prologo alla prima intervista con Fidel Castro è stato scritto da Gabriel García Márquez; quello alla seconda, dallo scrittore brasiliano Jorge Amado.

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Il Comandante che ha fatto una rivoluzione senza perderlaFra i documentari di maggior successo, alcuni di carattere sportivo su Nereo Rocco, Diego Maradona e Michel Platini, Ronaldo, Carlos Monzón, Nino Benvenuti, Edwin Moses, Tommie Smith, Lee Evans, Pietro Mennea e Muhammad Ali, che Minà ha seguito in tutta la sua carriera e al quale ha dedicato un lungometraggio intitolato Cassius Clay, una storia americana.

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Ciao Lucho, guerrigliero romanticoLeggi gli articoli di Gianni Minà dall’archivio storico del manifesto

Nel 1992 ha iniziato una serie di opera sull’America Latina:

– Storia di Rigoberta sul Nobel per la pace Rigoberta Menchú (premiato a Vienna in occasione del summit per i diritti umani organizzato dall’ONU),

– Immagini dal Chiapas (Marcos e l’insurrezione zapatista) presentato al Festival di Venezia del 1996,

– Marcos: aquí estamos, un reportage in due puntate sulla marcia degli indigeni Maya dal Chiapas a Città del Messico con un’intervista esclusiva al Subcomandante realizzata insieme allo scrittore Manuel Vázquez Montalbán.

– Il Che quarant’anni dopo ispirato alla vicenda umana e politica di Ernesto Che Guevara.

Nel 2001 Minà ha realizzato Maradona: non sarò mai un uomo comune un reportage-confessione di 70 minuti con Diego Maradona alla fine dell’anno più sofferto per la vita dell’ex calciatore.

Nel 2004 ha realizzato un progetto inseguito per undici anni e basato sui diari giovanili di Ernesto Guevara e del suo amico Alberto Granado quando, nel 1952, attraversarono in motocicletta l’America Latina, partendo dall’Argentina e proseguendo per il sud del Cile, il deserto di Atacama, le miniere di Chuquicamata, l’Amazzonia peruviana, la Colombia e il Venezuela. Dopo aver collaborato alla costruzione del film tratto da questa avventura e intitolato I diari della motocicletta diretto da Walter Salles e prodotto da Robert Redford e Michael Nozik, Minà ha realizzato il lungometraggio In viaggio con Che Guevara, ripercorrendo con l’ottantenne Alberto Granado quell’avventura mitica.