Terza Repubblichina
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4 Novembre 2023
di Marco Galluzzo
Il diplomatico e la fine di un rapporto mai decollato
ROMA Lo ha fatto lui, nessuna richiesta da parte di Giorgia Meloni. Lo ha spiegato ad un amico: «Che altro potevo fare, era diventata una situazione insostenibile…». Lo ha fatto di prima mattina, appena arrivato in ufficio, ha scritto una lettera e l’ha consegnata a chi di dovere. Non sappiamo se nelle mani della premier o attraverso gli uffici. Sappiamo solo che poche ore più tardi, al telefono, con le lacrime agli occhi, ha commentato con molta mestizia: «Quaranta anni di carriera buttati via in questo modo…».
Quella di Francesco Talò, ambasciatore di grado, già capo della nostra diplomazia in Israele e alla Nato, 65 anni, è una vicenda in parte incomprensibile. Chissà se mai una ricostruzione dettagliata del pasticcio di cui è stato vittima e carnefice allo stesso tempo verrà resa pubblica. Di sicuro con lui la premier è stata durissima in conferenza stampa, al termine del Consiglio dei ministri: «Una vicenda gestita con leggerezza, un danno alla Nazione».
Sembra che il rapporto fra Talò e Meloni non sia mai decollato, forse anche per il carattere mite, schivo, agli antipodi della premier, che ha sempre contraddistinto il primo. E forse un pizzico di responsabilità l’ha avuto anche un incastro involontario di dati: ovvero la nomina, un anno fa, di un ambasciatore a fine carriera (andrà in pensione il primo marzo) in corrispondenza con l’inizio di un mandato di una premier che punterà tantissimo proprio sulla politica estera.
Sfumature? Forse, ma tutto può aver giocato un ruolo nell’epilogo disastroso di un rapporto. Difficile non comprendere l’irritazione di Meloni, lo ha detto a chiare lettere in conferenza stampa: «Ho chiesto una verifica e mi è stato detto che andava tutto bene». Restano degli interrogativi enormi: come mai non è stato chiamato al telefono il nostro ambasciatore presso l’Unione africana, che risiede ad Addis Abeba, e che avrebbe impiegato pochi minuti (una telefonata al capo di gabinetto di Moussa Faki, il presidente dell’Ua) per smascherare il tranello organizzato dai russi?
Durante la telefonata
Perché non è stato chiamato il nostro ambasciatore all’Unione africana?
E ancora più incomprensibile appare la leggerezza per Francesco Talò, che non ha sentito puzza di bruciato, nonostante abbia diretto negli anni passati la struttura per la cybersecurity della Farnesina. In questo caso serviva una verifica analogica, persino un semplice sms alla segretaria di Moussa Faki (almeno quello vero), che però evidentemente non è stata espletata.
«Anche se per pochi mesi non avrebbe comunque potuto più fare il suo lavoro, era diventato un’anatra zoppa», commentano i colleghi che gli vogliono bene, che però conoscono i meccanismi della diplomazia. E anche le lettere che sono partite in queste ore dalle ambasciate romane dei vari Stati ai rispettivi governi, per raccontare una vicenda di cui Talò è stato protagonista negativo, quantomeno per omesso controllo o per responsabilità oggettiva, istituzionale.
Ora ovviamente ci si chiede se la sorte di Talò possa toccare anche ad altri, se tutto l’ufficio possa subire un rimescolamento, e in particolare se la consigliera Lucia Pasqualini che da poco tempo si occupava di Africa se ne occuperà anche in futuro. Di sicuro Meloni ha stretto un rapporto molto positivo sia con l’ambasciatore in Albania, Fabrizio Bucci, amico personale di Edi Rama, sia con Agostino Palese, oggi in Etiopia. Ma entrambi non hanno nemmeno il grado di ambasciatore, solo la funzione. Sono considerati dei «pesi leggeri» alla Farnesina.