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Il leghista: «In Italia non assolutismo della maggioranza, ma dittatura delle minoranze» Poi la precisazione: non mi riferivo alle parole del presidente a Trieste Tajani: «Il capo dello Stato va sempre rispettato»
Roma
La visita a Cortina di Matteo Salvini è stata caratterizzata da uno scivolone, non con il bob (da ministro delle Infrastrutture faceva un sopralluogo al cantiere della pista per le Olimpiadi invernali 2026) ma sul crinale ancora più ripido della politica e dei rapporti istituzionali con il Quirinale. Un caso che in serata viene sovrastato dalle parole di Giorgia Meloni, finora rimasta in silenzio, la quale invita a non strumentalizzare le frasi del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sul rischio di «un assolutismo della maggioranza », pronunciate mercoledì alla Settimana sociale dei cattolici in corso a Trieste.
La premier assicura di non avere letto «un attacco al governo» nelle parole del capo dello Stato (in effetti erano la riproposizione di concetti liberali contenuti nella nostra Costituzione, si spiega al Colle) e prova a chiudere il caso del giorno. Riuscendoci, se è vero che dal Quirinale si giudica «corretta» la sua valutazione. «Penso che non si faccia un favore alle istituzioni di questa Repubblica se ogni cosa che dice il presidente viene strumentalizzata come se fosse il capo dell’opposizione – ha sostenuto la premier -. Il discorso del presidente era un discorso sulla democrazia, era un discorso molto alto ed è un discorso che io condivido perché se è vero che nelle democrazie non esiste un assolutismo nei poteri non esiste neanche un assolutismo della maggioranze ed è per questo che ci sono dei contrappesi nei sistemi democratici».
Molto meno diplomatico, in mattinata, era stato il leader della Lega: «Assolutismo? Siamo in democrazia, il popolo vota, il popolo vince. Non faccio filosofia, ma politica. Semmai qui c’è il problema della dittatura delle minoranze, non il contrario». Più tardi, dal Carroccio, hanno cercato di porre rimedio spiegando che Salvini «ha grande stima del presidente della Repubblica e che la sua «riflessione non era indirizzata al capo dello Stato». Ma il danno ormai era fatto, come testimonia il gelido commento del segretario di Forza Italia Antonio Tajani, in questi giorni già in tensione con l’alleato per altre ragioni, come l’emendamento leghista che riporterebbe in carcere le detenute incinte o con figli minori di un anno, o la proposta di alzare il tetto degli introiti pubblicitari alla Rai. «Il capo dello Stato va sempre rispettato», si è limitato a dire il leader azzurro e ministro degli Esteri. Poche parole che pesano molto.
L’episodio è accaduto proprio nel giorno in cui, in commissione Affari costituzionali della Camera, è cominciato l’esame della riforma (già approvata il 18 giugno in prima lettura al Senato) che introdurrebbe l’elezione diretta del presidente del Consiglio, in cui numerosi costituzionalisti vedono proprio il rischio di uno sbilanciamento dei poteri dello Stato a favore del governo e in danno del Parlamento e del presidente della Repubblica. Nessun rischio di questo tipo, secondo la ministra per le Riforme Elisabetta Alberti Casellati che, ieri presente alla seduta della commissione, ha auspicato che il ddl costituzionale sul premierato «possa procedere con celerità, nonostante l’ingorgo di tanti provvedimenti». Anche questa frase ha più tardi reso necessaria una precisazione da parte dello staff della ministra: «Si vada avanti con celerità, ovviamente nel rispetto dei tempi del dibattito parlamentare, così come è stato in Senato».
Ma in Senato non era andata così bene, per il Pd, che adesso chiede di fermare l’iter della riforma fino alla definizione della nuova legge elettorale: «La ministra da un lato ha detto di essere aperta a modifiche, dall’altro ha detto di volere “celerità” e ha alzato molti paletti sul numero degli emendamenti, sui tempi e sugli ambiti di eventuali modiche della Camera – accusano i deputati dem -. Non accetteremo strappi e forzature come accaduto con l’autonomia differenziata. Peraltro è del tutto anomalo che il Parlamento discuta il provvedimento prima che sia stato indicato dal governo il modello elettorale associato alla riforma».
Ora sarà avviata una serie di audizioni che il presidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, Nazario Pagano di Forza Italia, conta di contenere «nel numero ragionevole di 50», assicurando comunque che la Camera «non vuole fare il passacarte».
La segretaria del Pd Elly Schlein non entra nella polemica sulle parole di Mattarella, ma dice chiaramente che per lei nel premierato, così come pensato da Meloni, non c’è niente da salvare: «Credo che non sia mai opportuno coinvolgere il presidente della Repubblica nel dibattito politico quotidiano. Il Pd si batterà contro questa riforma. E non saremo da soli».