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27 Giugno 2025In pope we trust La strada intrapresa dalla Chiesa appare chiara: non basta più limitarsi a denunciare ingiustizie o a formulare appelli generici. Serve un impegno deciso a costruire la pace
Dopo dodici anni e mezzo di pontificato di Francesco, segnato da un forte impegno sui temi della pace, del disarmo e della giustizia sociale, l’elezione di Leone XIV, secondo Papa proveniente dal continente americano, ha acceso molte aspettative e domande. In diversi si sono interrogati su quale direzione avrebbe preso la Chiesa di fronte a questioni delicate e urgenti come la pace mondiale e la crescente corsa al riarmo.
Ma l’intervento di Leone di ieri alla plenaria della Roaco ha chiarito molte di queste incertezze, mostrando un’evidente continuità sui contenuti col predecessore, che l’aveva voluto a Roma al suo fianco due anni prima della scomparsa, lo scorso aprile. Il netto rifiuto del ricorso alla forza come soluzione ai conflitti è centrale per entrambi i pontefici, così come la denuncia del riarmo globale come fallimento politico e morale. Il papa ha ribadito che nessuna arma, nemmeno quella presentata come ‘difensiva’, può costruire una vera pace, perché genera insicurezza, alimenta sospetti e moltiplica i rischi.
Papa Francesco aveva già sottolineato, con il suo stile empatico e pastorale, l’orrore della guerra e la necessità del disarmo, invitando la comunità internazionale a percorrere la strada della non violenza attiva e della diplomazia. Lo aveva fatto con gesti potenti, come quando si inginocchiò a baciare i piedi dei leader sud sudanesi nel 2019 per implorare la fine del conflitto civile, o nel suo storico discorso ad Hiroshima, dove dichiarò: «L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune». Più volte aveva denunciato il commercio delle armi come «traffico di morte» e chiesto ai governi di «smilitarizzare i cuori prima che le nazioni».
Il nuovo Papa ha raccolto questo testimone. Nel suo intervento ha condannato la prevalenza della forza sul diritto internazionale, mettendo in luce come la manipolazione delle emozioni, spesso alimentata da fake news e propaganda, favorisca divisioni e giustifichi politiche di potenza. Ha aggiunto che «oggi si investe più nella guerra che nella pace», parlando di una «blasfemia della sicurezza armata», e ha invocato un cambiamento radicale dei modelli di difesa, che non può più fondarsi sulle armi, ma sulla giustizia e sul dialogo tra i popoli.
La sua denuncia si è fatta teologica e morale nel richiamare figure bibliche come Erode e Pilato, simboli della brutalità e dell’indifferenza, per descrivere lo scenario globale. Una scelta retorica potente che richiama ciascuno alla responsabilità: non essere complici del sistema che premia potere e accumulo di armamenti a scapito di pace e vita umana.
Anche Francesco aveva incarnato questo spirito di prossimità e concretezza. Nel 2013, a pochi mesi dalla sua elezione, si recò a Lampedusa per denunciare la «globalizzazione dell’indifferenza» davanti alla tragedia dei migranti. E nel 2022, accogliendo in Vaticano una delegazione di popolazioni indigene canadesi, chiese perdono per il ruolo avuto dalla Chiesa nelle scuole residenziali, ricordando che la pace si costruisce restituendo dignità e ascolto agli ultimi, non con nuove armi o alleanze militari.
La strada intrapresa dalla Chiesa appare dunque chiara: non basta più limitarsi a denunciare ingiustizie o a formulare appelli generici. Serve un impegno deciso a costruire la pace con azioni concrete, scelte coraggiose e una testimonianza profetica contro la cultura delle armi, anche quando mascherata da strategia di sicurezza.
In un mondo in cui l’arsenale militare continua a crescere, in cui guerre vengono giustificate con falsi pretesti e l’indifferenza si fa sistema, la voce della Chiesa, oggi incarnata da Leone XIV, risuona con forza: il disarmo non è un’opzione, è una necessità morale, spirituale e politica. Come disse Francesco: «Non si può parlare di pace mentre si accumulano armi». E Leone ne raccoglie l’eredità con determinazione, rilanciando un appello radicale e scomodo: il futuro sarà disarmato o non sarà.