Il decreto Lavoro non c’è. Il testo definitivo è lontanissimo da essere pubblicato sulla Gazzetta ufficiale e perfino il viceministro all’Economia Maurizio Leo non conosce l’entità della misura più strombazzata da Giorgia Meloni: il taglio del cuneo fiscale.

L’ultima bozza che continua a circolare è datata «30 aprile ore 02.00». Da quel momento Mef e palazzo Chigi hanno preso in mano l’incartamento e stanno decidendo come scrivere i passaggi più delicati. Il decreto si chiama «Lavoro» ma la ministra Calderone, al solito, non tocca palla.

Le cifre sparate dalla presidente del Consiglio – «aumento dei salari fino a 100 euro» – sono esagerate e tutt’ora molto incerte. Anche per questo Meloni ha deciso di non tenere la conferenza stampa prevista per lunedì per illustrare il contenuto del decreto «Recante misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro e in materia di salute».

Dei 38 articoli previsti quello sul cuneo è il numero 34 ed è di sole sette righe. L’«Esonero parziale dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti» innalzata «fino a 7 punti percentuali per i redditi fino a 25mila euro, a 6 punti per chi arriva a 35mila euro» era prevista solo da luglio a novembre. La beffa di dicembre pare essere stata evitata ma rimane un grosso punto interrogativo su come coprire l’ultimo dei sei mesi.

È chiaro che si tratta di una bazzecola – la media per i redditi lordi fino a 35 mila euro annui è di circa 50 euro al mese – e soprattutto si tratta di un ulteriore bonus che se sarà reso strutturale impiegherà gran parte delle risorse della prossima legge di bilancio – più di 10 miliardi l’anno – rendendo impossibile qualsiasi intervento su pensioni e riforma fiscale.

La gran parte del Decreto riguarda invece la cancellazione del Reddito di cittadinanza e la sostituzione con due strumenti mutilati in risorse e durata della copertura. Dal primo gennaio 2024 viene istituito l’Assegno di inclusione: resta a livello familiare per i nuclei con reddito lordo di 7.560 euro annui in cui sono presenti disabili, minori o over-60. L’importo massimale dovrebbe scendere a 480 euro al mese (sale a 630 euro nei nuclei composti da tutti over 67 o nei quali ci sia un disabile grave), cui aggiungere 280 euro mensili se sono in affitto. Verrà erogato per diciotto mesi e potrà essere rinnovato, dopo lo stop di un mese, per ulteriori dodici mesi.

La grande novità – naturalmente negativa – riguarda la mannaia che si abbatte per i cosiddetti «occupabili in situazione di povertà». Dal primo settembre 2023 parte lo Strumento di attivazione al lavoro. Vincolante la partecipazione a corsi di formazione, di qualificazione professionale. Senza specificare però chi li dovrebbe proporre agli «occupabili» stessi. Sarà comunque necessario registrarsi su una piattaforma informatica nazionale e sottoscrivere un patto di servizio personalizzato. Il beneficio sarà di 350 euro e al massimo per dodici mesi, non rinnovabili. Il «rimborso spese» è solo per chi riuscirà a fare corsi di formazione. Per chi non riuscirà a iscriversi non è previsto alcuna copertura. Se per l’Assegno di inclusione si stanziano 5,6 miliardi per lo strumento di attivazione ci sono 1,4 miliardi (totale 7 miliardi) che portano il taglio delle risorse complessive rispetto al Reddito di cittadinanza (costo 8 miliardi nel 2022) a un miliardo tondo.

L’articolo più lungo è l’8: quello sulle «Sanzioni e responsabilità penale, contabile e disciplinare» per i «furbetti» che non rispetteranno le nuove norme.

Altro capitolo è quello che riguarda gli interventi sui contratti a tempo e dunque l’aumento della precarizzazione del lavoro. In arrivo meno vincoli sulle causali per i contratti a termine tra i 12 e i 24 mesi: sono affidate ai contratti collettivi o, in assenza della previsione contrattuale, individuate dalle parti per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva (in questo caso comunque entro il 31 dicembre 2024).

Vengono allargate anche le soglie delle cosiddette prestazioni di lavoro occasionale – i famigerati voucher – da 10mila a 15mila euro per chi opera nei settori dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e parchi di divertimento.

L’ultima modifica riguarda un’altra beffa per i precari. È saltata la norma che prevedeva un «bonus» da 500 euro ai lavoratori con contratto a tempo determinato della durata di 24 mesi e non successivamente stabilizzati.

Solo per il 2023, la soglia dei fringe benefit aziendali che non vengono tassati sale a 3 mila euro ma solo per i lavoratori dipendenti con figli a carico. Vengono destinati 142 milioni. Riguardano beni, servizi e anche i rimborsi da parte dei datori di lavoro per il pagamento delle bollette di acqua, luce e gas.