A meno di improbabili e clamorosi ribaltoni il governo non sarà costretto a fare a meno di Daniela Santanchè. Oggi la maggioranza respingerà la mozione dei Cinque Stelle per le dimissioni della ministra del Turismo, iniziativa appoggiata solo da Pd e dall’Alleanza Verdi Sinistra. Il voto andrà in scena nell’aula del Senato presieduta dall’amico e consulente personale Ignazio La Russa.

Il cordone di protezione garantito dalla maggioranza sembra destinato a durare almeno fino al prossimo settembre, quando le indagini avviate dalla procura di Milano sulla gestione delle aziende col marchio Visibilia, potrebbero portare alla richiesta di rinvio a giudizio della titolare del Turismo, che è indagata per bancarotta e falso in bilancio. Sempre a settembre, poi, riprenderanno le udienze decisive per conoscere il destino delle aziende: se le società coinvolte eviteranno il fallimento verrà accantonata anche l’ipotesi di reato più grave mossa dalla procura, quella di bancarotta; in caso contrario, il rischio di finire a processo aumenterebbe di molto come pure le probabilità che Santanchè sia costretta alle dimissioni.

Per questo sulla vicenda resta sospeso un interrogativo che potrebbe determinarne l’esito finale: riuscirà la Santanchè politica a salvarsi dalla Santanchè imprenditrice? Riuscirà la ministra sedicente manager di successo a lasciarsi alle spalle un decennio di affari sballati?

UNA MONTAGNA DI RATE

L’impressione è che nei prossimi anni l’imprenditrice paladina del lusso dovrà fare letteralmente i salti mortali per rispettare gli impegni presi con le banche, con il fisco e con gli altri creditori delle sue aziende. Facciamo qualche esempio concreto. I conti in sospeso con il Fisco ammontano a 1,94 milioni di euro. Secondo il piano asseverato dal commercialista Ezio Simonelli, l’obiettivo sarebbe quello di ottenere uno sconto del 30 per cento circa per arrivare a pagare 1,295 milioni da versare nell’arco di 10 anni in 20 rate semestrali da 64.750 euro ciascuna, cioè più di 10 mila euro al mese. I consulenti della ministra attendevano una risposta dall’Agenzia delle entrate entro la fine di luglio, tuttavia la decisione finale è slittata di alcune settimane.

Il conto aperto con le banche vale invece 4,5 milioni circa, ma grazie all’accordo con gli istituti di credito la posizione verrebbe sanata sborsando 1,2 milioni, con un generoso sconto pari al 73,7 per cento del totale. Per chiudere la partita Santanchè si dice pronta a pagare entro 120 giorni dall’eventuale omologa da parte del tribunale fallimentare del piano di ristrutturazione dei debiti, omologa che potrebbe arrivare già in settembre. Se arriverà il via libera, quindi, la ministra sarebbe chiamata sborsare 1,2 milioni già a gennaio del 2024. Infine, come si legge nella relazione di Simonelli, resta da pagare il debito verso Visibilia editrice, che dall’autunno scorso è passata sotto controllo di Luca Ruffino, un imprenditore milanese in buoni rapporti con gli ambienti della destra cittadina. Dopo che a settembre del 2022 Visibilia editrice ha concesso un’ulteriore dilazione di pagamento al debitore Visibilia, cioè Santanchè, il piano ora prevede che la ministra paghi, suddivisi in rate mensili, 360 mila euro nel 2023, 600 mila nel 2024 e 963 mila entro la fine del 2025.

Tirando le somme, possiamo dire che per evitare la bancarotta Santanchè dovrà trovare ogni mese 10 mila euro da destinare all’erario e altri 30 mila per Ruffino di Visibilia editrice, che diventeranno 50 mila l’anno prossimo e 80 mila circa nel 2025. Senza contare il milione e 200 mila euro da dare entro gennaio alle banche.

Somme che a prima vista non sembrano alla portata di un’imprenditrice che con il crollo del gruppo Visibilia ha visto esaurirsi la sue fonte principale di reddito e che nel novembre scorso ha venduto la sua quota nel Twiga dell’amico Flavio Briatore incassando 2,7 milioni di euro che sono stati versati in gran parte nelle casse di Visibilia concessionaria per evitare il crack. Come ha svelato Domani, un’altra società di Santanchè potrebbe incassare più di 200 mila euro l’anno come compenso per la fornitura di servizi allo stesso Twiga. Una somma importante, ma comunque non sufficiente a finanziare per intero il piano di rientro dei debiti della ministra, che nel 2022, secondo la sua dichiarazione dei redditi depositata in Senato ha avuto un reddito netto di circa 175 mila euro. Se i debiti non venissero saldati, Santanchè finirebbe per rimetterci la casa, messa in garanzia per un valore di 6 milioni. Una ministra con la casa pignorata, un epilogo che Meloni non può permettersi.