Dalle stalle alle stelle, il miliardario prestanome di Putin
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ROMA – Il giorno dopo l’addio di Luigi Di Maio e della grossa pattuglia di parlamentari che si son messi in cammino ‘Insieme per il futuro‘, per il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte è tempo di fare i conti con la nuova e assai dura realtà. Con uno sguardo in avanti, è chiaro che sia Conte che Matteo Salvini spingeranno per differenziarsi dal governo Draghi, con la speranza che alzando la voce e le richieste alla fine il popolo degli scontenti, che sempre più si estremizzerà ai lati, torni a votare per loro.
Sognare è bello, soprattutto quando negli ultimi anni non se n’è imbroccata una giusta. D’altra parte il destino è cinico e baro: Salvini, è opinione quasi totale tra i leghisti, è una formidabile macchina da guerra elettorale, dall’opposizione però. Lo si è visto in maniera plateale, ripetuta e totale: nel momento in cui Salvini deve pensare una strategia non dico di lungo ma di medio periodo eccolo che cade rovinosamente. “Lui è fatto così, lo conosciamo da quando portava i calzoni corti in Consiglio comunale a Milano, bravissimo a replicare subito, vive di istanti e si brucia sulla distanza”, mi dice un leghista lumbard della prima ora.
Anche Conte, prima avvocato dei ceti abbienti e poi avvocato del popolo, trovato all’ultimo istante per fare il presidente del Consiglio, si è ritrovato sul podio dei più applauditi soprattutto grazie al Covid, che terrorizzò tutti e, come accade in questi casi, a quel punto ci si aggrappa ai governanti. Che fare? Forse al premier Draghi conviene anticipare la Manovra, non facendola arrivare a fine anno quando saremo nel pieno della campagna elettorale con gli appetiti dei partiti al massimo. Subito dopo, visto il marasma politico che non può che aumentare e sperando che a quel punto il Covid si sia indebolito al massimo, si potrebbe pure arrivare ad una crisi politica con elezioni a marzo.
Per quanto riguarda lo scenario politico, a destra i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni non vedono l’ora, visto che tutti i sondaggi da mesi li vedono come primo partito non solo del centrodestra ma d’Italia. “Ma Giorgia non andrà al Governo – dice una malalingua del centrodestra – sì, lei farà un po’ di manfrina, un giro di consultazioni ma alla fine se ne uscirà dicendo che lei non può accordarsi con quella roba là… Non le conviene perché il prossimo Governo dovrà fronteggiare una crisi che si annuncia di lacrime e sangue, con misure così dure da frantumare qualsiasi consenso elettorale preso qualche tempo prima”. Stando a questo ragionamento, quindi, Fratelli d’Italia se ne resterà all’opposizione sapendo che di lì a poco l’allegra compagnia dei responsabili andrebbe a sbattere. A quel punto…
Nel centro, al momento, c’è un affollamento di leader e sigle che rendono difficile non solo individuare la lista da votare ma anche immaginare cotanto popolo pronto a votare. Facile pensare che soprattutto attorno ad Azione di Carlo Calenda, unica forza che supera lo sbarramento del 3%, si convergerà in una sola coalizione ‘per Draghi presidente’, insomma per ripresentare in veste rinnovata un governo di ampia coalizione magari con la Lega a guida Giorgetti, quel che resterà di Forza Italia con la galassia dei suoi fuoriusciti e il Pd del sempre responsabile Enrico Letta.
E la sinistra? Già, manca la sinistra. Anche qui abbondano i leader ma mancano il popolo e i voti. Guardando ai nostri vicini francesi però qualcosa possiamo comprendere. La crisi, che colpirà sempre più duro, estremizzerà sempre più pezzi di elettorato, di quella parte che farà fatica a sbarcare il lunario giornaliero e che se ne frega di aspettare i bonus governativi. Ecco, detto che a destra l’area sarà probabilmente occupata da Meloni, a sinistra la partita può essere giocata soltanto azzerando, o almeno spostando un pochino dietro, le facce che si vedono oggi, a partire da Giuseppe Conte.
Il M5S, infatti, costretto a tornare sulle vecchie parole d’ordine, si ritroverà giocoforza in questa area. E Conte sicuramente non potrà scaldare i poveri cuori che battono a sinistra, che guardano sempre male e con sospetto chi ha il portafoglio gonfio. Quindi? A quel punto sarebbe meglio che tutti compissero un atto di coraggio, un passo indietro con il conferimento della loro forza (vabbè, anche piccola, sempre forza è) ad un altro personaggio, come fu fatto a suo tempo con il professor Romano Prodi. In questa prospettiva c’è un personaggio che potrebbe svolgere una sana e costruttiva opposizione al governo dei responsabili: Maurizio Landini, al momento leader della Cgil, che in molti dentro al sindacato saluterebbero volentieri.
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Landini porterebbe in Parlamento le ragioni dei lavoratori e dei precari, di chi vuole giustizia sociale, di chi spera in una giusta ed equa redistribuzione della grana, insomma di togliere i soldi ai ricconi, che anche in questi anni di sofferenza hanno guadagnato a più non posso. Avendo dalla loro anche una grossa fetta di italiani: stando all’ultimo sondaggio Swg, infatti, ben sette italiani su dieci non vedono l’ora di poter tassare i Paperoni d’Italia. Sapere che sono aumentati, spiega il sondaggio, negli italiani ha suscitato rabbia (28%), tristezza (25%) e frustrazione (18%). Più chiaro di così.