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23 Giugno 2024È una nave dell’Età del Bronzo piena di anfore scoperta al largo delle coste israeliane: risale a oltre tremila anni fa, ed è perlopiù intatta
I resti di una grande nave di legno risalente all’Età del Bronzo, l’epoca che va più o meno dal 2.300 al 700 avanti Cristo, sono stati trovati a circa 90 chilometri al largo delle coste israeliane, a 1.800 metri di profondità. Si pensa possa essere il relitto più antico mai trovato in acque profonde. Il relitto era stato trovato lo scorso luglio da Energean, società londinese che ricerca giacimenti di gas naturale, durante un’esplorazione di routine dell’area fatta con un veicolo sottomarino a comando remoto: solo di recente però, a fine maggio, l’Autorità israeliana per le antichità è riuscita a recuperare i primi reperti dalla nave, due anfore contenenti probabilmente olio o miele (oggi sono colme di sabbia).
È una scoperta molto importante: i relitti di navi dell’Età del Bronzo sono estremamente rari, e permettono di farci un’idea più completa di un periodo molto fiorente per le comunità che si affacciavano sul Mediterraneo.
La nave era lunga circa 12-14 metri e trasportava centinaia di anfore contenenti probabilmente vino e cibo. Si pensa sia affondata tra il 1.300 e il 1.400 avanti Cristo e che stesse trasportando un carico dalle coste del Medio Oriente verso ovest, verosimilmente verso Cipro o Creta.
Come si legge nel post su Facebook pubblicato dall’Autorità israeliana per le antichità per annunciare la scoperta, secondo Jacob Sharvit, a capo dell’Unità marina dell’ente, «potrebbe essere affondata a causa di una tempesta o di un attacco di pirati», un evento piuttosto comune nel Mediterraneo dell’Età del Bronzo.
La scoperta rivela «come mai prima d’ora le capacità di navigazione degli antichi marinai», ha aggiunto Sharvit: la posizione del ritrovamento fa pensare infatti che almeno alcune comunità di navigatori fossero in grado di attraversare il Mediterraneo anche stando lontani dalla costa, mentre finora si pensava che navigassero quasi sempre “a vista”. Da dove è stato trovato il relitto si vede solo l’orizzonte e, senza strumenti come bussole o astrolabi, si può ipotizzare che si orientassero «seguendo i corpi celesti, osservando le posizioni e gli angoli del sole e delle stelle», continua.
La nave non è stata estratta, ma è rimasta sul fondo del mare per preservarla per le generazioni future, quando la tecnologia permetterà di compiere ulteriori esplorazioni, dice l’Autorità israeliana per le antichità. Durante la ricognizione con il robot sottomarino Energean ha però registrato delle immagini del carico della nave, grazie a luci molto potenti dato che la nave si trova nella zona afotica, dove non arriva la luce solare.
Si tratta di circa un centinaio di anfore contenute all’interno della stiva, e apparentemente intatte, alcune delle quali sommerse sotto il fondale fangoso. Sharvit ha commentato che il relitto ha un enorme potenziale per la ricerca: «La nave è conservata a una profondità tale che il tempo si è congelato nel momento del disastro. La sua struttura e l’area circostante non sono stati disturbati dall’uomo, né influenzati dalle onde e dalle correnti che colpiscono i relitti di navi in acque meno profonde».
Dato l’interesse suscitato dalla scoperta, Energean ha fatto modificare il robot per poter raccogliere e analizzare due delle anfore che si trovavano sul relitto, all’esterno, in modo da non intaccarlo. Data la loro forma e il loro materiale, si pensa che dovessero contenere – tra l’altro – miele, olio d’oliva e resina di albero di pistacchio atlantico. Questa sostanza, come scrive il New York Times, veniva usata come conservante del vino e, in Egitto, come incenso e come vernice per corredi funerari.
Finora erano stati trovati solo altri due relitti di navi con carico risalenti all’Età del Bronzo: le barche ritrovate a Capo Gelidonya e a Uluburun, entrambe al largo della costa turca. In particolare il ritrovamento del relitto a Uluburun, avvenuto nel 1982, permise alla comunità di storici e archeologi di farsi un’idea più chiara degli estesissimi commerci che avvenivano nel Mediterraneo nella tarda Età del Bronzo, che qualcuno ha definito la prima era di “globalizzazione” nella storia umana.
Dentro alla nave trovata a Uluburn vennero rinvenute, fra le altre cose, 175 lastre di vetro colorate di viola, blu e azzurro, prodotte probabilmente in Mesopotamia; una tonnellata di stagno, estratta probabilmente nel moderno Afghanistan; una spada di fattura siciliana; uno scettro in pietra vulcanica dall’odierna Bulgaria o Romania; 41 gocce di ambra, estratte soprattutto in quelli che oggi chiamiamo paesi baltici, e molto altro ancora.
Non è chiaro se il relitto trovato al largo delle coste israeliane ospitasse un carico altrettanto ricco. Al momento però sta già attirando l’attenzione degli studiosi per la posizione in cui è stato ritrovato. I relitti di Capo Gelidonya e Uluburun erano molto più vicini alla riva e quindi – oltre a poter essere studiati più facilmente, con i normali attrezzi subacquei – non contraddicevano le conoscenze che si avevano finora riguardo alle modalità di navigazione del tempo.
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